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Giovanna D'Arco, santa tradita
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Giovanna D'Arco, santa tradita
Giovanna d'Arco di Luc Besson
Esce in Italia la pellicola di Luc Besson con protagonista Milla Jovovich nei panni della Pulzella lorenese
L'aspetto religioso della vicenda viene ridotto ad una vaga spiritualità new age
Ci sono tre cose da apprezzare nel film di Jean Luc Besson intitolato a Giovanna d`Arco; ma una è stata sottratta al pubblico italiano.
La prima è, ovviamente, la protagonista. Ho qualche dubbio che la vera Giovanna, quella ragazzina lorenese probabilmente malnutrita (capitava, nel Quattrocento...) potesse lontanamente somigliare alla splendida Milla Jovovich, una copia ipervitaminizzata [...] della Bergman che nel ‘48 portò sullo schermo la pulzella in un kolossal diretto da Fleming. Per bella, è splendida; e, anche se non la si può dire una grande attrice, ha assolto tuttavia il suo compito anche con buona volontà. La Jovovich si è studiata con una cura financo eccessiva la Bergman di mezzo secolo fa: forse la più "facile" tra le versioni cinematografiche della Pulzella. Che la coppia Besson-Jovovich potesse scomodare Dreyer, o Rossellini, o Preminger, o Bresson (non si parli di Péguy o di Claudel o di Brasillach) era in effetti alquanto improbabile. E difatti...
La seconda cosa da apprezzare è un tentativo per la verità debole e un pò rozzo di dare un'interpretazione nuova ("revisionistica") del processo inquisitoriale che finì col rogo della Pulzella: interpretazione che - non certo nuova per gli specialisti - potrebbe sembrare originale al più vasto pubblico. Nel film di Besson, si dà un'interpretazione del vescovo Cauchon - il principale giudice-accusatore di Giovanna - che si discosta dal quasi abituale cliché del perverso e ambizioso esecutore della volontà politica degli inglesi. Ma, per il resto, è proprio sui grandi personaggi storici coinvolti nella vicenda di Giovanna che il film è manchevole: il duca Filippo di Borgogna - il più grande politico, il principe più affascinante del suo tempo - è un ridicolo e imbarazzato manichino; il torvo consigliere di Carlo VII, La Trémouille, non è per nulla reso nelle sue pieghe più interessante di diplomatico accorto e consumato; differente il caso della suocera di Carlo VII, Iolanda d'Aragona, che nella vicenda di Giovanna ebbe poca influenza mentre nel film di Besson è una sorta di Regina Cattiva di Biancaneve interpretata dall'ex bellona Faye Dunaway, che evidentemente ha imposto per sé - maquillage a parte - un ruolo da protagonista. A quel punto, tanto valeva farle recitare la parte di Jeanne de Luxembourg, zia di quel Jean che nella primavera del 1430 fu il carceriere di Giovanna, interessante ed energica dama che davvero ebbe un ruolo importante nella vicenda. Per questo, però, i soggettisti avrebbero dovuto conoscere la storia.
Terza cosa apprezzabile, di cui però il pubblico italiano è stato privato. Il titolo originale inglese, «The Messanger», rendeva molto bene il nucleo dell'esperienza e dell'autocoscienza di Giovanna, talmente convinta di esser portatrice d'un messaggio divino direttamente trasmessole da giocare su ciò anche la sua fedeltà alla Chiesa e la stessa vita. Ma nelle versioni francese e italiana si è preferito il più banale e scontato nome della protagonista.
D'altra parte, se il film ripercorre in modo più o meno generico e anche un pò scontato le tappe degli avvenimenti relativi a Giovanna, nulla o quasi in esso si ravvisa di plausibile in ordine alla sua figura. La bella ragazza ossessionata dalla scene di violenza viste da bambina e dalle visioni mistiche un pò new age, che vive la sua missione quasi come una vendetta contro gli inglesi che dinanzi ai suoi occhi le hanno ucciso una sorella e che cade ogni tanto in una sorta di trance, risponde poco alla problematica della Pulzella: nulla del suo forte legame con la «devotio moderna» tardomedievale; nulla dell'intenso e tormentato periodo tra maggio e luglio del 1430, cioè tra la cattura a Compiègne e l'arrivo prigioniera a Reims (il momento forse più cupo e intenso della "crisi delle certezze" di Giovanna); nulla sul dramma della sua solitudine in carcere, rimpiazzato dai colloqui con un'immagine allegorica, una "coscienza" in barba e saio che, per aver il volto di Dustin Hoffman, a qualcuno ricorderà Capitan Uncino.
Un film costoso, pomposo e mediocre su un medioevo convenzionale, con scene di massa alla Bravehearte nel quale qualche sciabolata di ambigua luce spirituale sostituisce il "territorio evitato" d'un discorso plausibile sulla santità. Si rimpiange, dopo averlo visto, la povertà e la prolissità «évémenentielle» del fluviale film di Jacques Rivette dove, almeno, ci si ponevano delle domande.
Esce in Italia la pellicola di Luc Besson con protagonista Milla Jovovich nei panni della Pulzella lorenese
L'aspetto religioso della vicenda viene ridotto ad una vaga spiritualità new age
Ci sono tre cose da apprezzare nel film di Jean Luc Besson intitolato a Giovanna d`Arco; ma una è stata sottratta al pubblico italiano.
La prima è, ovviamente, la protagonista. Ho qualche dubbio che la vera Giovanna, quella ragazzina lorenese probabilmente malnutrita (capitava, nel Quattrocento...) potesse lontanamente somigliare alla splendida Milla Jovovich, una copia ipervitaminizzata [...] della Bergman che nel ‘48 portò sullo schermo la pulzella in un kolossal diretto da Fleming. Per bella, è splendida; e, anche se non la si può dire una grande attrice, ha assolto tuttavia il suo compito anche con buona volontà. La Jovovich si è studiata con una cura financo eccessiva la Bergman di mezzo secolo fa: forse la più "facile" tra le versioni cinematografiche della Pulzella. Che la coppia Besson-Jovovich potesse scomodare Dreyer, o Rossellini, o Preminger, o Bresson (non si parli di Péguy o di Claudel o di Brasillach) era in effetti alquanto improbabile. E difatti...
La seconda cosa da apprezzare è un tentativo per la verità debole e un pò rozzo di dare un'interpretazione nuova ("revisionistica") del processo inquisitoriale che finì col rogo della Pulzella: interpretazione che - non certo nuova per gli specialisti - potrebbe sembrare originale al più vasto pubblico. Nel film di Besson, si dà un'interpretazione del vescovo Cauchon - il principale giudice-accusatore di Giovanna - che si discosta dal quasi abituale cliché del perverso e ambizioso esecutore della volontà politica degli inglesi. Ma, per il resto, è proprio sui grandi personaggi storici coinvolti nella vicenda di Giovanna che il film è manchevole: il duca Filippo di Borgogna - il più grande politico, il principe più affascinante del suo tempo - è un ridicolo e imbarazzato manichino; il torvo consigliere di Carlo VII, La Trémouille, non è per nulla reso nelle sue pieghe più interessante di diplomatico accorto e consumato; differente il caso della suocera di Carlo VII, Iolanda d'Aragona, che nella vicenda di Giovanna ebbe poca influenza mentre nel film di Besson è una sorta di Regina Cattiva di Biancaneve interpretata dall'ex bellona Faye Dunaway, che evidentemente ha imposto per sé - maquillage a parte - un ruolo da protagonista. A quel punto, tanto valeva farle recitare la parte di Jeanne de Luxembourg, zia di quel Jean che nella primavera del 1430 fu il carceriere di Giovanna, interessante ed energica dama che davvero ebbe un ruolo importante nella vicenda. Per questo, però, i soggettisti avrebbero dovuto conoscere la storia.
Terza cosa apprezzabile, di cui però il pubblico italiano è stato privato. Il titolo originale inglese, «The Messanger», rendeva molto bene il nucleo dell'esperienza e dell'autocoscienza di Giovanna, talmente convinta di esser portatrice d'un messaggio divino direttamente trasmessole da giocare su ciò anche la sua fedeltà alla Chiesa e la stessa vita. Ma nelle versioni francese e italiana si è preferito il più banale e scontato nome della protagonista.
D'altra parte, se il film ripercorre in modo più o meno generico e anche un pò scontato le tappe degli avvenimenti relativi a Giovanna, nulla o quasi in esso si ravvisa di plausibile in ordine alla sua figura. La bella ragazza ossessionata dalla scene di violenza viste da bambina e dalle visioni mistiche un pò new age, che vive la sua missione quasi come una vendetta contro gli inglesi che dinanzi ai suoi occhi le hanno ucciso una sorella e che cade ogni tanto in una sorta di trance, risponde poco alla problematica della Pulzella: nulla del suo forte legame con la «devotio moderna» tardomedievale; nulla dell'intenso e tormentato periodo tra maggio e luglio del 1430, cioè tra la cattura a Compiègne e l'arrivo prigioniera a Reims (il momento forse più cupo e intenso della "crisi delle certezze" di Giovanna); nulla sul dramma della sua solitudine in carcere, rimpiazzato dai colloqui con un'immagine allegorica, una "coscienza" in barba e saio che, per aver il volto di Dustin Hoffman, a qualcuno ricorderà Capitan Uncino.
Un film costoso, pomposo e mediocre su un medioevo convenzionale, con scene di massa alla Bravehearte nel quale qualche sciabolata di ambigua luce spirituale sostituisce il "territorio evitato" d'un discorso plausibile sulla santità. Si rimpiange, dopo averlo visto, la povertà e la prolissità «évémenentielle» del fluviale film di Jacques Rivette dove, almeno, ci si ponevano delle domande.
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