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L’ESOTERISMO DI PLATONE
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L’ESOTERISMO DI PLATONE
Ciò che è vero è reso dagli uomini schiavo
dell’adorazione dell’apparenza mentre l’apparenza fu
data loro per essere schiava dell’adorazione del vero.
(Saint Martin).
dell’adorazione dell’apparenza mentre l’apparenza fu
data loro per essere schiava dell’adorazione del vero.
(Saint Martin).
Prima di procedere ad una sintesi della filosofia esoterica di Platone è opportuno fare un breve cenno dei momenti più significativi della sua vita. Nacque nel 428 a.C. ad Egina. Ventenne incontrò Socrate. Erano allievi di Cratilo: tardo discepolo alla scuola di Eraclito. L’incontro con questo primo maestro fu determinante per la loro formazione. Dopo la morte di Socrate, avvenuta nel 339 a.C. Platone lasciò Atene per intraprendere viaggi verso terre lontane. Si raccontano varie storie: in terra egiziana fu iniziato ai misteri di Iside e Osiride (Sciurè); ed in quella italica catturato dal tiranno Dioniso I e venduto come schiavo. Fu Anniceris di Cirene che, riconosciutolo, pagò il suo riscatto. Dopo questa triste esperienza Platone dette vita, precisamente nel 386 a.C., appena rientrato in Atene, all’Accademia. Morì ottantenne nel 347 a.C.
Platone e Socrate assimilarono, e fecero loro, le teorie eraclitee particolarmente quella affermante che tutte le cose sensibili sono soggette ad una perenne trasformazione. Platone, infatti, sostenne sempre che l’universale potesse essere in cose diverse da quelle sensibili, giacché gli parve impossibile una definizione comune di cose sensibili che sono in continuo mutamento; così chiamò Idee quelle altre cose e affermò che le cose sensibili sono al di fuori delle Idee, dalle quali tuttavia hanno il nome per effetto della loro partecipazione. Usando quest’ultima definizione Platone non fece altro che cambiare il nome, da imitazione a partecipazione, del concetto pitagorico affermante che gli esseri sono per imitazione dei numeri, tralasciando poi di chiedersi che cosa fosse mai questa partecipazione o imitazione. Platone, nella sua fase pitagorica, l’ultima, cercando gli elementi delle Idee li trovò nell’uno, che coincideva con il bene, e nell’illimitato, che egli definiva grande e piccolo. Da questi due princìpi deriva la molteplicità dei numeri o “l’indeterminata dualità”. Platone mantenne quest’idea tutta la vita. Nel Fedone si legge, a conferma del suo pensiero, che le idee sono causa tanto dell’essere che del divenire.
Eraclito diceva: “Perciò bisogna seguire ciò che è comune ed ascoltando il logos (il termine greco logos è di tale profondità che ogni traduzione è riduttiva; esso indica discorso, parola, razionalità, verbo), è saggio riconoscere che tutto è UNO”. Ed ancora: “ Tutto è legato ad un’unica legge cosmica e anche le cose che sembrano le più lontane tra loro - gli opposti- sono unite”.
Platone, con i suoi scritti, è stato guida per innumerevoli uomini, non solo nella ricerca esoterica ma anche nella dignità del vivere. La sua dottrina ha fatto nascere il desiderio di ricercare entro di sé e ritrovare, alla luce del Logos, la via della conoscenza valendosi, in ogni esperienza, di un severo esame interiore per una critica del proprio modo di agire nella comunità umana. Si sforza di comprendere gli uomini e di giovar loro educandoli come educa se stesso, senza ritirarsi dal mondo, in quanto attende seriamente a ciò che ad un uomo vivente tra uomini spetta fare, sempre contemplando l’eterno come un pellegrino che viene da lontano e procede verso una lontana meta. Così il senso del divino è necessariamente inerente al platonismo che si è espresso nel tempo con diversi linguaggi: quello orfico-pitagorico, quello della religiosità neoplatonica e quello dei neoplatonici cristiani.
Platone, con i suoi scritti, è stato guida per innumerevoli uomini, non solo nella ricerca esoterica ma anche nella dignità del vivere. La sua dottrina ha fatto nascere il desiderio di ricercare entro di sé e ritrovare, alla luce del Logos, la via della conoscenza valendosi, in ogni esperienza, di un severo esame interiore per una critica del proprio modo di agire nella comunità umana. Si sforza di comprendere gli uomini e di giovar loro educandoli come educa se stesso, senza ritirarsi dal mondo, in quanto attende seriamente a ciò che ad un uomo vivente tra uomini spetta fare, sempre contemplando l’eterno come un pellegrino che viene da lontano e procede verso una lontana meta. Così il senso del divino è necessariamente inerente al platonismo che si è espresso nel tempo con diversi linguaggi: quello orfico-pitagorico, quello della religiosità neoplatonica e quello dei neoplatonici cristiani.
Socrate potrebbe dirsi, per più aspetti, un platonico “ante litteram”; vive ad Atene e ne osserva le leggi, ma nel suo vivere osserva leggi più rigorose, leggi di quella Polis ideale di cui il sapiente si elegge cittadino, e se tra le due città sorge un conflitto è pronto a lasciare la città terrena.
È spesso citato un verso di Coleridge: “Gli uomini nascono o platonici o aristotelici”, sono cioè o idealisti o materialisti. Antitesi pacata, però, come quella compendiata da Raffaello nella scuola di Atene, dove l’intuizione dell’artista ha colto una fondamentale distinzione tra due attitudini dell’intelletto umano, astrazione contro concretezza, visione dell’universale contro visione del particolare. Il poeta ha colto nella dottrina platonica, come nell’insegnamento socratico, un’ispirazione che è comune alla poesia ed alla mantica, un’allusione ad esperienze intellettuali difficilmente comunicabili.
L’essere umano ha attraversato tanti stati o stadi evoluzionistici: in tempi molto antichi era paragonato ad una nuvola di fuoco; attualmente il suo corpo mentale è paragonabile alla corteccia degli alberi (la corteccia è l’escremento dell’albero), in effetti, è inconcludente il suo fare nella ricerca dell’universale; determinante, invece, è la sua presa di coscienza del particolare e, spiccatamente, come ritiene logico affrontare le diverse età della vita. Predomina, in questa attività, l’essere meccanicistico: aristotelico! La distorsione lo porta a cercare l’eliminazione del dolore, sia fisico che psichico, con farmaci tremendi e, l’immortalità adottando tutte le possibili occasioni offerte dalla scienza medica e dalla tecnica chirurgica. Fatale alchimia luciferina!
Dalle testimonianze di Aristotele, circa l’insegnamento orale di Platone nell’accademia, è sorto il problema dell’esistenza di una dottrina esoterica distinta da quella che si manifesta nei suoi scritti. Importanti riferimenti sull’esistenza di questa dottrina li ritroviamo nel contenuto della seconda lettera inviata da Platone al Tiranno di Siracusa, della quale riporto un significativo passaggio. “Rifletti dunque a questo e bada di non dover un giorno pentirti di avere lasciato che queste dottrine si diffondessero in un mondo non degno. Il miglior modo di custodirle sarà di non scriverle, ma di apprenderle a memoria: perché è impossibile evitare che le cose scritte cadano in mano altrui. Per questa ragione io non ho mai scritto niente su queste cose… nè mai ci sarà un trattato che va sotto il mio nome (non sotto quello di Socrate)”.
Penso sia, questa lettera, la prova inconfutabile dell’esistenza di una dottrina occulta; del resto la ritroviamo espressa, anche se non in modo chiaro, nel Fedro, come dottrina delle Idee viste come archetipi delle cose esistenti, che si richiama in modo evidente ai numeri sacri di Pitagora, precisamente nelle progressioni della doppia quaderna (1,2,4,8, e 1,3,9,27, nell’unica serie 1,2,3,4,9,8,27). Per chiarimenti ulteriori su questo argomento ritengo utile la lettura di una mia ricerca sulla tetractys, almeno come sua introduzione.
La dottrina dell’anima, le sue migrazioni, le reincarnazioni, è presente in tutta l’opera di Platone, in modo particolare nel Convito e nel Fedone. In queste opere Socrate accenna ad un viottolo che può condurci, con il ragionamento, a buon fine, e fa distinzione tra corpo ed anima dicendo che con l’impuro attingere il puro c’è da temere non sia davvero concesso!
Non ritengo opportuno disquisire sulle singole opere di Platone, indispensabile invece, per affermare in maniera inequivocabile l’esistenza di una dottrina o disciplina esoterica, è riportare uno stralcio della settima lettera da lui inviata al Tiranno di Siracusa:
“Chi ascolta queste cose, se è veramente filosofo, e se, in quanto dotato di nascita divina, è congenere alla filosofia e degno di essa, pensa di aver sentito parlare di una meravigliosa strada da percorrere, e che si debba fare ogni sforzo per seguirla e non si possa vivere diversamente agendo; poi unendo i suoi sforzi con quelli di colui che gli indica la strada, non desiste prima di aver raggiunto il suo fine, o prima di aver acquistato tanta forza da poter muovere i suoi passi da sé senza la guida, in questo modo e con questi pensieri vive un tal uomo: svolge sì la sua normale attività, qualunque possa essere, ma in ogni cosa resta sempre fedele alla filosofia e a quel genere di vita quotidiana che soprattutto lo può rendere padrone di sé, pronto ad apprendere e a ricordare e capace di ragionare; il modo di vita opposto a questo egli lo odierà fin che vive.
Quelli che non sono veramente filosofi ma hanno solo una verniciatura di opinioni, vedendo quante sono le dottrine da apprendere, quanta fatica è richiesta e come si convenga alla filosofia un regime di vita regolato, concludono che per loro è una cosa difficile ed impossibile e non si sentono capaci di esrcitarvisi; alcuni di essi poi si persuadono di avere su tutto cognizioni sufficienti e di non aver più bisogno di durar fatica; questa è la prova più chiara e più sicura che si possa fare con uomini che vivono mollemente e sono incapaci di sforzi continuati: chi non è in grado di fare tutto ciò che è necessario alla filosofia, non può addossare la colpa alla sua guida, ma a se stesso (Questo concetto è quanto mai attuale e congenere a quanto avviene all’interno dell’Ordine Massonico: cerchiamo esternamente quanto internamente non siamo capaci di trovare. Sapete chi è il discepolo più affine alla dottrina esoterica di Platone? Colui che viene chiamato “Il Filosofo Sconosciuto, cioè, Louis Claude de Saint-Martin”! Anche i suoi scritti sembrano tanto difficili da comprendere, forse perché tutti noi siamo incapaci di sforzi continuati, siamo instabili a tal punto che per cercare di rifarsi l’abito dell’anima preferiamo creare una nuova Accademia).
Non ritengo opportuno disquisire sulle singole opere di Platone, indispensabile invece, per affermare in maniera inequivocabile l’esistenza di una dottrina o disciplina esoterica, è riportare uno stralcio della settima lettera da lui inviata al Tiranno di Siracusa:
“Chi ascolta queste cose, se è veramente filosofo, e se, in quanto dotato di nascita divina, è congenere alla filosofia e degno di essa, pensa di aver sentito parlare di una meravigliosa strada da percorrere, e che si debba fare ogni sforzo per seguirla e non si possa vivere diversamente agendo; poi unendo i suoi sforzi con quelli di colui che gli indica la strada, non desiste prima di aver raggiunto il suo fine, o prima di aver acquistato tanta forza da poter muovere i suoi passi da sé senza la guida, in questo modo e con questi pensieri vive un tal uomo: svolge sì la sua normale attività, qualunque possa essere, ma in ogni cosa resta sempre fedele alla filosofia e a quel genere di vita quotidiana che soprattutto lo può rendere padrone di sé, pronto ad apprendere e a ricordare e capace di ragionare; il modo di vita opposto a questo egli lo odierà fin che vive.
Quelli che non sono veramente filosofi ma hanno solo una verniciatura di opinioni, vedendo quante sono le dottrine da apprendere, quanta fatica è richiesta e come si convenga alla filosofia un regime di vita regolato, concludono che per loro è una cosa difficile ed impossibile e non si sentono capaci di esrcitarvisi; alcuni di essi poi si persuadono di avere su tutto cognizioni sufficienti e di non aver più bisogno di durar fatica; questa è la prova più chiara e più sicura che si possa fare con uomini che vivono mollemente e sono incapaci di sforzi continuati: chi non è in grado di fare tutto ciò che è necessario alla filosofia, non può addossare la colpa alla sua guida, ma a se stesso (Questo concetto è quanto mai attuale e congenere a quanto avviene all’interno dell’Ordine Massonico: cerchiamo esternamente quanto internamente non siamo capaci di trovare. Sapete chi è il discepolo più affine alla dottrina esoterica di Platone? Colui che viene chiamato “Il Filosofo Sconosciuto, cioè, Louis Claude de Saint-Martin”! Anche i suoi scritti sembrano tanto difficili da comprendere, forse perché tutti noi siamo incapaci di sforzi continuati, siamo instabili a tal punto che per cercare di rifarsi l’abito dell’anima preferiamo creare una nuova Accademia).
Sorvoliamo su queste piccinerie e riprendiamo la lettura della lettera. Questo solo posso dire sul conto di quelli che hanno scritto o scriveranno affermando di conoscere ciò che è l’oggetto del mio studio, non è possibile, almeno secondo la mia opinione, che abbiano capito alcunché di questa materia. Su ciò non esiste, mai ci sarà alcun mio trattato; perché questa disciplina non è assolutamente, come le altre, comunicabile, ma dopo molte discussioni su questi problemi e dopo una lunga convivenza, improvvisamente, come luce, si accende una scintilla, essa nasce nell’anima e nutre ormai se stessa. Tuttavia io so che se queste cose dovessero venir scritte o dette, lo sarebbero nel modo migliore da me e so anche che farebbe molto soffrire il costatare che sono state scritte male. Se ritenessi che fosse opportuno metterle per iscritto, cosa avrei potuto fare nella mia vita, che mettere per iscritto una dottrina salutare a tutti gli uomini e portare alla luce per tutti la natura delle cose? Ma io non ritengo che una disquisizione, come si dice, su questi argomenti possa essere un bene per gli uomini, se non per quei pochi che sono capaci, dopo poche indicazioni, di trovare da soli la verità; degli altri, alcuni si gonfierebbero di un ingiustificato disprezzo, e ciò non è bene, altri di una superba e vuota fiducia, come se avessero appreso qualcosa di sublime; su questo punto io intendo parlare ancora più a lungo; così, forse, quando avrò parlato, qualcuna delle cose che dico diventerà più chiara.
Per ciascuno degli esseri vi sono tre elementi per mezzo dei quali necessariamente se ne acquista la conoscenza; il quarto elemento è la conoscenza. Se desideri capire ciò che io intendo dire, prendi un unico esempio e ragiona poi allo stesso modo per tutti i casi.
Vi è qualcosa che è detto circolo che ha appunto quel nome che abbiamo pronunciato; il secondo elemento e la sua definizione, che consta di nomi e di verbi: ciò che ha nome (rotondo, circolare, circolo) può essere definito come ciò che ha in ogni suo punto uguale la distanza dalla circonferenza al centro. Terzo elemento è ciò che si disegna e si cancella, che si forma al tornio e si distrugge; di tutto questo niente patisce il cerchio in se, al quale pure si riferiscono queste cose, in quanto è altro da esse. Quarto elemento è la conoscenza, l’intuizione e l’opinione vera intorno a queste cose; esse vengono considerate tutte come un’unica categoria, perché hanno sede non in suoni ne in figure corporee, ma nelle anime; è perciò chiaro che la conoscenza è altro dalla natura del circolo e dai tre elementi di cui si era prima detto (indispensabile sarebbe per tutti noi lo studio dell’albero sephirotico, in particolare le prime tre sephire). Di queste categorie la più vicina per somiglianza e affinità al quinto elemento è l’intuizione; le altre invece sono più distanti. E lo stesso è dunque della figura diritta e della figura rotonda, dei colori, del buono del bello e del giusto, di ogni corpo costruito ed esistente naturalmente, del fuoco, dell’acqua e di tutte le cose di tal genere, di ogni essere vivente, del carattere nelle anime e di ogni azione e passione. Se uno, riguardo a queste cose non riesce ad afferrare i primi quattro elementi, non potrà mai avere completa conoscenza del quinto.
Vi è qualcosa che è detto circolo che ha appunto quel nome che abbiamo pronunciato; il secondo elemento e la sua definizione, che consta di nomi e di verbi: ciò che ha nome (rotondo, circolare, circolo) può essere definito come ciò che ha in ogni suo punto uguale la distanza dalla circonferenza al centro. Terzo elemento è ciò che si disegna e si cancella, che si forma al tornio e si distrugge; di tutto questo niente patisce il cerchio in se, al quale pure si riferiscono queste cose, in quanto è altro da esse. Quarto elemento è la conoscenza, l’intuizione e l’opinione vera intorno a queste cose; esse vengono considerate tutte come un’unica categoria, perché hanno sede non in suoni ne in figure corporee, ma nelle anime; è perciò chiaro che la conoscenza è altro dalla natura del circolo e dai tre elementi di cui si era prima detto (indispensabile sarebbe per tutti noi lo studio dell’albero sephirotico, in particolare le prime tre sephire). Di queste categorie la più vicina per somiglianza e affinità al quinto elemento è l’intuizione; le altre invece sono più distanti. E lo stesso è dunque della figura diritta e della figura rotonda, dei colori, del buono del bello e del giusto, di ogni corpo costruito ed esistente naturalmente, del fuoco, dell’acqua e di tutte le cose di tal genere, di ogni essere vivente, del carattere nelle anime e di ogni azione e passione. Se uno, riguardo a queste cose non riesce ad afferrare i primi quattro elementi, non potrà mai avere completa conoscenza del quinto.
Di nuovo bisogna capire bene quello che ho detto ora. Ciascun circolo di quelli che nella realtà sono disegnati o costruiti al tornio è pieno di ciò che è contrario al quinto elemento, perché in ogni suo punto ha contatto con la retta, mentre il circolo in sé, noi diciamo, non contiene ne poco ne tanto della natura a esso opposta. Noi diciamo anche che il nome di una cosa non ha alcun carattere di stabilità e che niente impedisce che le cose ora chiamate tonde vengano chiamate rette e le rette tonde: le cose non sarebbero meno fisse per chi mutasse loro il nome e le chiamasse nel modo opposto. Mille discorsi si possono fare sui quattro elementi, per mostrare che ognuno è oscuro, ma l’argomento principale è quello di cui abbiamo parlato poco fa, cioè che, mentre l’anima cerca di conoscere l’essenza e non la qualità di una cosa (che due sono appunto i principi, essenza e qualità), ciascuno dei quattro elementi le pone innanzi in parole e in fatti ciò che essa non cerca, ciascuno presenta sempre, facilmente confutabile dalle sensazioni, ciò che si dice o che si mostra, per cui riempie ogni uomo di una per così dire completa incertezza e oscurità. Ora in argomenti in cui, a causa di una cattiva educazione, non siamo neppure abituati ad indagare il vero e ci bastano le immagini che ci si rappresentano, non ci rendiamo ridicoli gli uni di fronte agli altri, poiché siamo capaci di disperdere e confutare i quattro; ma in argomenti in cui vogliamo costringere uno a rispondere e a chiarire il quinto elemento, chiunque conosca l’arte delle confutazioni riesce, solo che lo voglia, ad avere il sopravvento, e fa che chi si sforza di esporre un pensiero con discorsi e con scritture o con risposte, sembri alla gran parte di quelli che ascoltano non intendere niente di ciò che si sforza di scrivere o di dire; ora gli ascoltatori spesso ignorano che non è l’anima di chi scrive o parla ad essere confutata, ma la natura di ciascuno dei quattro che è difettosa. Solo il trascorrere attraverso tutti questi gradi, salendo e scendendo da uno all’altro può a fatica generare in chi ha buona natura la scienza di ciò che ha buona natura. Ma se uno non ha buona natura, com’è nella gran parte degli uomini l’abito dell’anima, sia riguardo all’apprendere sia riguardo al carattere, neppure Linceo (aveva Linceo uno sguardo così acuto capace di vedere anche attraverso le pietre) potrebbe dare vita a codesti uomini. Necessariamente, infatti, queste cose si apprendono insieme, quando questi singoli elementi vengono con sforzo sfregati gli uni contro gli altri e sottoposti a confutazioni in dispute benevole e in scambi di domande e di risposte fatte senza animosità, allora a chi compie ogni sforzo consentito alle possibilità umane, riluce d’un tratto intorno a ciascun problema comprensione e intuizione. Perciò appunto ogni persona seria si guarda bene dallo scrivere di cose serie per non esporle alla malevolenza e alla incomprensione degli uomini”.
Platone asserisce di non aver mai scritto niente su di una dottrina segreta o esoterica, non una dottrina di Platone perché esiste solo una verità e quindi solo una dottrina o filosofia, e contemporaneamente espone i principi etici, morali, escatologici di questa stessa dottrina. La verità è che Platone (come molto più tardi Dante, che ne ha seguito i dettami, spiega i vari modi d’intendere i suoi scritti: senso letterale, morale, analogico ed anagogico), ci ha tramandate le sue conoscenze coperte da triplice velo, seguendo la tradizione esoterica pitagorica. Si racconta, a proposito, che recatosi nell’Italia meridionale Platone abbia comperato a peso d’oro un manoscritto di Pitagora e sappiamo che Pitagora non ha lasciato niente scritto di suo pugno e quanto si trovava nella sua scuola andò perduto, bruciato, ad opera dei suoi denigratori. Non voglio riportare il pensiero di Eraclito su Pitagora, sarebbe troppo ingiuroso!
Al fine di poter dare un ordinamento cronologico, e per identificare il contenuto esoterico e spirituale che esse contengono, le opere di Platone bisogna suddivderle in tre momenti. Quello giovanile: al quale appartengono gli scritti dell’Apologia, Critone, Ione, Protagora, I° libro della Repubblica, Carmenide, Lachete, Liside e Eutifrone, dove la personalità di Socrate si riflette nella sua reale statura storica. Egli vi appare nella tipica personalità d’interlocutore e ricercatore filosofico, in caccia di determinazioni e definizioni concettuali. Quello intermedio: al quale appartengono gli scritti del Gorgia, Eutidemo, Menone, Cratilo, Convito, dove si anticipa in modo spiccato l’orientamento di quelle dottrine che verranno poi esposte pienamente nei grandi dialoghi della maturità che sono il Simposio, Fedro, Fedone, i libri II° e X° della Repubblica. In quest’ultimi (che sono i capolavori immortali di Platone, e che per rigore storico, comprendono anche Teeteto, Parmenide, Sofista, Politico, leggi, Filebo, Timeo, e Critia), sono discussi i complicati problemi evolutivi inerenti alla costruzione della Dottrina: questa viene chiamata tradizionalmente “Dottrina delle Idee” designate con il nome “OVRA” che significa: realtà che sono, o che veramente sono.
Questo mondo ideale in opposizione a quello visibile del divenire, va considerato come essenziale alla realtà, tanto per l’assoluto e unico aspetto dell’essere quanto per l’eterno permanere nelle proprie determinazioni. Il mondo Ideale è quindi quello dell’essere, mentre quello sensibile che racchiude elementi di particolarità, contingenza, transitorietà, è sintesi di essere e di non essere. Il rapporto oggettivo che lega le idee alle cose si presenta così come una vera e propria partecipazione, dove la realtà particolare in quanto è, ed è pensabile e nominabile, partecipa dell’eterno essere dell’idea a cui assomiglia. Da ciò si evince che le idee non sono più soltanto concetti socratici, principi necessari per la conoscenza delle cose, ma fondamento ultimo della loro stessa esistenza. Tutta questa scienza si riduce a conoscenza delle idee e dei rapporti reciproci che le collegano in un ordinato sistema. Si conoscono veramente le idee solo sapendo distinguere ciascuna di esse in quelle più particolari in cui si suddivida la loro estensione (L’idea di cavallo si predica per tutti i singoli cavalli, l’idea di quadrupede si predica non solo in quella di cavallo ma anche in altre idee, e cioè in modo più esteso di essa, così come a loro volta più estese sono quelle di animale e di vivente) Affinché il pensiero dell’uomo possa, con la sua dialettica, orientarsi nelle gerarchie e nei rapporti delle idee è necessario anzitutto che egli le conosca tutte, d’altra parte non c’è momento nella vita dell’uomo il cui sapere non sia legato alla conoscenza sensibile, una qualsiasi nozione, riferita ad una realtà oggettiva, non può passare nel chiuso della sua anima senza passare attraverso le barriere degli organi corporei (Campanella ha fatto di questo concetto il cardine della sua filosofia). Si desume quindi, nel pensiero di Platone, che l’anima ha conosciuto le idee in un periodo della sua esistenza in cui non era ancora costretta nell’organismo corporeo e precisamente nel mondo Sopraceleste, estendentesi al di là di quel cielo che limita lo sguardo mortale dell’uomo (concetto ripreso e spiegato molto bene dallo Stainer nella sua Cronaca dell’Acacia).L’anima, entrata nell’opacità del carcere corporeo, non è più in grado di ricordare quelle visioni eterne, ma a poco a poco, riflettendo sulle somiglianze e sulle dissomiglianze delle cose, è ricondotta al pensiero dei Supremi Esemplari, verso cui tali somiglianze si orientano, e si ricorda di ciò che vide. Questo, in sintesi, è il concetto platonico di reminiscenza come fonte terrena di ogni conoscenza, concetto che implica la considerazione delle idee come innate nell’anima e che si ricollega al concetto della sua immortalità. E dal momento che l’anima è vissuta e vive separatamente dal corpo, in tale esistenza essa ha conosciuto verità di gran lunga superiori a quelle che l’attuale corpo le comunica; essendo, comunque, l’anima immortale, la sua esperienza corporea è solo un provvisorio e doloroso stato di prigionia. L’anima riacquistata memoria della sua origine e del suo destino non desidera altro che ritornare alla sua patria eterna fuggendo l’esilio terreno.
La morale, in Platone, assume un netto orientamento verso l’aldilà, e molto s’avvicina a quella della religione orfica. Dalla filosofia dei pitagorici Platone riprende l’idea della metempsicosi o trasmigrazione dell’anima attraverso varie esperienze corporee, non soltanto umane ma anche animali. Ogni esistenza risulta determinata dal comportamento morale dell’anima nell’esistenza precedente: più essa risulterà legata al corpo, cedendo ai suoi desideri e lasciandosi dominare da essi, più basso nella gerarchia naturale sarà l’organismo corporeo in cui dovrà trasmigrare. Questa dottrina dell’anima si sviluppa totalmente nel pensiero; il pensiero non solo studia l’anima ma, in qualche misura, la descrive: l’anima che si rivela nella vita terrestre, tramite l’esperienza del pensiero, ricorda del suo stato pre-terrestre puramente spirituale.
Lo Stainer riprendendo questo concetto dice: la saggezza è la virtù che, generata dall’anima razionale, nobilita la vita dell’uomo; la fortezza appartiene all’anima senziente e la temperanza all’anima appetitiva. Queste due ultime virtù appariscono quando l’anima razionale domina le altre manifestazioni dell’anima. L’armonioso lavoro di tutte queste virtù manifestano ciò che Platone chiama la giustizia o l’orientamento verso il bene.
Nel suo significato ultimo la filosofia diviene per Platone una “Meditatio mortis” tale che veramente liberi l’anima dal corpo, senza necessità di ulteriori legami. Ciò si può ottenere, secondo la sua dottrina, esercitando sempre più nella vita quelle facoltà dell’anima che meglio corrispondono alla sua natura divina. Per filosofia si deve intendere amore della conoscenza, tendenza a ritornare a quel perfetto stato contemplativo il cui amore si accende nell’anima quando, attraverso l’opaco specchio della realtà sensibile, essa rammenta la realtà ideale che ne costituisce il modello eterno. È il famoso Amor Platonico, quel demone Eros che mediando fra il mortale e l’immortale trae il primo verso il secondo.
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