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SILVESTRO II IL PAPA STREGONE
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SILVESTRO II IL PAPA STREGONE
Gerberto d'Aurillac fu una delle più grandi e più sconcertanti figure della storia medioevale. Egli nacque da famiglia poverissima, in un anno imprecisato intorno al 950, in un villaggio dell'Alvernia, in Francia. Rimasto orfano in tenera età, venne accolto in un monastero, dove cominciò gli studi, segnalandosi ben presto per la straordinaria intelligenza e, a quanto sembra, per una precisa propensione per le donne e il gioco d'azzardo. Ancora molto giovane, si recò in Spagna e, cosa inaudita per un sacerdote cristiano, si trattenne per alcuni anni a Cordova a seguire l'insegnamento dei dotti musulmani di quella città, ci e in quell'epoca era in mano agi Arabi. Che cosa imparò il giovane monaco nella fastosa città islamica? Non lo sapremo mai esattamente: ma certo, accanto alla matematica, l'astrologia e la magia. Quello che è noto, è che Gerberto, ritornato in Francia, si guadagnò rapidamente la fama di essere l'uomo più dotto dei suoi tempi. Questa fama fa sì che egli venga segnalato da papa Giovanni XIII all'imperatore, che lo sceglie come precettore di suo figlio Ottone II e, più tardi, lo nomina abate della prestigiosa abbazia di Babbio. Qui tuttavia Gerberto si attira molte inimicizie e cade in discredito sia presso 1'imperatore sia presso il papa. Si trasferisce allora a Reims, riesce a far deporre l'arcivescovo Arnulfo e ad essere eletto al suo posto. Tuttavia un sinodo dichiara illegale la sua nomina e Gerberto è costretto a lasciare anche Reims. Ma nel 999, egli viene misteriosamente nominato arcivescovo di Ravenna e pochi mesi dopo - per l'esattezza il 2 aprile — sale al trono pontificale, assumendo il nome di Silvestro II. L'antico discepolo degli occultisti mussulmani resse la Chiesa per quattro anni, con inattesa fermezza e rettitudine, unite a un grande spirito di umanità, morendo, in circostanze addirittura sconvolgenti, il 12 maggio 1003.
LA CARRIERA FOLGORANTE
Questa carriera folgorante nel campo delle dignità ecclesiastiche, compiuta in circostanze per lo meno strane e a dispetto di nemici potentissimi, fu accompagnata, parallelamente, da tutta una serie di scoperte e invenzioni scientifiche che oltrepassavano largamente le conoscenze teoriche e le capacità tecniche del tempo e che Gerberto sembrava realizzare senza la minima difficoltà e quasi per gioco. I cronisti del tempo, traendo un'ammirazione unita a qualcosa di molto simile al terrore superstizioso, ne danno delle descrizioni alquanto vaghe — segno della loro assoluta diversità e novità, che lasciavano interdette persone totalmente estranee alle conquiste della meccanica: un globo celeste in cui tutti gli astri avevano proprie orbite e propri movimenti e compivano in tempi proporzionati le proprie rivoluzioni — insomma un moderno planetario, quale fu reinventato solo alla fine del XIX secolo; un orologio meccanico che segnava le ore anche nell'oscurità; un organo funzionante a vapore; e infine un automa in grado di rispondere con cenni alle domande che gli venivano rivolte. E' quasi inutile dire che di queste invenzioni di Silvestro II non è rimasta alcuna traccia materiale. E' evidente che i suoi contemporanei non erano assolutamente in grado di utilizzarle e tanto meno di riprodurle, così come accade, del resto, per le sue scoperte matematiche: "egli scoperse e descrisse — dice uno storico contemporaneo — nuovi metodi di calcolo, che i migliori matematici riuscivano appena a comprendere". Infine per completare il quadro di questa personalità sconcertante, vale la pena di aggiungere che Silvestro II, in diversi suoi trattati teolgici, che sono giunti fino a noi, sostiene varie opinioni chiaramente eretiche: l'Enciclopedia Cattolica, preoccupata evidentemente per la dottrina dell'infallibilità pontificia, non potendo negare il fatto, avanza l'ipotesi che Silvestro. . . non ci credesse veramente!
L'ORO DELLA GRANDE SALA
Lo storico inglese Guglielmo di Malmesburn scrive: "Vi era nel campo Marzio una statua di metallo con l'indice della destra disteso, e che portava in fronte l'iscrizione COLPISCI QUI'. Molti, credendo che vi avrebbero trovato un tesoro, avevano spaccato la testa della statua, ma inutilmente. Gerberto invece osservò di nascosto dove arrivasse l'ombra del dito a mezzogiorno in punto, e tornato sul posto, di notte con un suo cameriere, fece con i suoi incanti spalancare la terra. Ed ecco apparire ai loro sguardi una grande sala e cavalieri d'oro che giocavano con dadi d'oro e la statua d'oro di un re, disteso con la regina davanti alla mensa apparecchiata con vasellame d'oro, in cui il valore dell'arte superava quello del metallo. Nella parte più interna, un carbonchio rompeva l'oscurità col suo rosso splendore: di fronte, nell'angolo opposto, la statua di un fanciullo con l'arco teso. Ma niente si poteva toccare, perché se un intruso vi avvicinava la mano, subito tutte quelle statue parevano balzargli contro... Pure il cameriere non seppe trattenersi dall'afferrare un coltello di grande valore: ma subito le statue incominciarono a vibrare; l'arco del fanciullo scoccò la sua freccia che colpì il carbonchio, riempiendo di tenebra la sala...".
IL PATTO CON IL DIAVOLO
Quali segreti nascondevano dunque la sconcertante camera e il sapere sovrumano di Gerberto di Aurillac? La risposta è semplice quanto sconvolgente: il futuro papa aveva concluso un patto col diavolo. La cosa più straordinaria è che il fatto è provato storicamente e che fu lo stesso pontefice a confessare la cosa. Nella chiesa della santa Croce di Gerusalemme, a Roma, esisteva una iscrizione in latino, che fu fatta scomparire nel corso del XVI secolo, ma non prima che la vedesse quel grande spirito critico che fu Michele Montaigne e che ne fossero pubblicate riproduzioni a stampa. Così diceva la lapide: "Nell' anno del Signore 1003, regnante l'imperatore Ottone, il pontefice Silvestro II, che fu precettore dell'imperatore e che forse non troppo giustamente venne eletto papa, fu avvertito da uno spirito che sarebbe morto il giorno in cui fosse entrato a Gerusalemme. Ignorando forse il nome di questa chiesa, egli vi celebrò la messa nel quinto anno del suo pontificato, e morì in quello stesso giorno. Per grazia divina, poco prima dell'elevazione, egli comprese di essere vicino alla morte: e si pentì degnamente e ispirato dalla santità di questo luogo versò amare lacrime, verosimile segno di salvezza eterna. Finita la messa, egli rivelò allora al popolo le sue colpe e diede ordine che il suo corpo esanime venisse legato a quattro cavalli indemoniati e da loro fatto a pezzi a espiazione dei suoi tremendi peccati, e che i pezzi fossero lasciati insepolti, a meno che Dio nella sua pietà non avesse voluto altrimenti. Poiché i cavalli si arrestarono tutti presso il Laterano, l'Imperatore ordinò che qui egli fosse sepolto e Sergio IV suo successore ne abbellì il sepolcro". Con questa fine insieme atroce e serena, il grande Gerberto papa eretico e mago, si riconciliò per sempre con quel Dio di cui era stato l'energico e caritatevole vicario su questa terra. Ma che cosa avrà narrato il pontefice, presago della prossima fine, allo stupefatto popolo di Roma: quali colpe potevano essere così terribili da indurre ad ubbidire all'ordine di far lacerare dai cavalli le degne spoglie del papa defunto?
LA SCONVOLGENTE CONFESSIONE DI SILVESTRO II
II cronista Walter Map ci ha conservato un racconto che probabilmente riproduce abbastanza da vicino la sconvolgente confessione di Silvestro II: "Quando Gerberto era a Reims, si innamorò perdutamente della figlia del prefetto di quella città, donna bellissima, ammiratissima e corteggiatissima. Per far bella figura con lei, Gerberto si diede a spese pazze, si mise in mano agli usurai e in breve tempo si rovinò. Un giorno, sopraffatto dalle disgrazie, si mise a vagare per un bosco: e improvvisamente gli apparve una donna di una bellezza straordinaria, seduta su un gran drappo di seta, e che aveva davanti a sé un cumulo di monete d'oro. Egli voleva allontanarsi; ma la donna lo chiamò per nome, si disse mossa a compassione del suo stato, e gli offrì tutte le ricchezze che poteva desiderare, purché rinunciasse alla figlia del prefetto, e prendesse lei come compagna ed amante. - Il mio nome è Meridiana, e sono, come tu sei, creatura dell'Altissimo, e a te, come al più degno degli uomini, io offro la mia verginità... - Da allora Meridiana apparve tutte le notti a Gerberto diventando per lui amante, dispensatrice di ricchezze e di conoscenze arcane e infallibile consigliera politica: in cambio, essa ottenne dal futuro papa un formale patto di sottomissione! Durante tutto il tempo del suo sacerdozio, egli non ci cibò più del corpo e del sangue di Cristo, e simulò con frode il sacramento. Meridiana gli annunciò poi che sarebbe morto solo dopo aver celebrato la messa in Gerusalemme. Il papa non aveva nessuna intenzione di recarsi in Terra Santa, e si sentiva perciò sicuro. Ma un giorno andò a celebrare nella chiesa detta appunto della Santa Croce di Gerusalemme: e rideva in un modo sinistro, e gli diceva che tra poco l'avrebbe accolto nel suo regno. Ma Silvestro chiamò intorno a sé i cardinali, il clero e il popolo, si confessò pubblicamente e morì con asprissime penitenze...".
Silvestro II
al secolo Gerberto d'Aurillac
LA CARRIERA FOLGORANTE
Questa carriera folgorante nel campo delle dignità ecclesiastiche, compiuta in circostanze per lo meno strane e a dispetto di nemici potentissimi, fu accompagnata, parallelamente, da tutta una serie di scoperte e invenzioni scientifiche che oltrepassavano largamente le conoscenze teoriche e le capacità tecniche del tempo e che Gerberto sembrava realizzare senza la minima difficoltà e quasi per gioco. I cronisti del tempo, traendo un'ammirazione unita a qualcosa di molto simile al terrore superstizioso, ne danno delle descrizioni alquanto vaghe — segno della loro assoluta diversità e novità, che lasciavano interdette persone totalmente estranee alle conquiste della meccanica: un globo celeste in cui tutti gli astri avevano proprie orbite e propri movimenti e compivano in tempi proporzionati le proprie rivoluzioni — insomma un moderno planetario, quale fu reinventato solo alla fine del XIX secolo; un orologio meccanico che segnava le ore anche nell'oscurità; un organo funzionante a vapore; e infine un automa in grado di rispondere con cenni alle domande che gli venivano rivolte. E' quasi inutile dire che di queste invenzioni di Silvestro II non è rimasta alcuna traccia materiale. E' evidente che i suoi contemporanei non erano assolutamente in grado di utilizzarle e tanto meno di riprodurle, così come accade, del resto, per le sue scoperte matematiche: "egli scoperse e descrisse — dice uno storico contemporaneo — nuovi metodi di calcolo, che i migliori matematici riuscivano appena a comprendere". Infine per completare il quadro di questa personalità sconcertante, vale la pena di aggiungere che Silvestro II, in diversi suoi trattati teolgici, che sono giunti fino a noi, sostiene varie opinioni chiaramente eretiche: l'Enciclopedia Cattolica, preoccupata evidentemente per la dottrina dell'infallibilità pontificia, non potendo negare il fatto, avanza l'ipotesi che Silvestro. . . non ci credesse veramente!
L'ORO DELLA GRANDE SALA
Lo storico inglese Guglielmo di Malmesburn scrive: "Vi era nel campo Marzio una statua di metallo con l'indice della destra disteso, e che portava in fronte l'iscrizione COLPISCI QUI'. Molti, credendo che vi avrebbero trovato un tesoro, avevano spaccato la testa della statua, ma inutilmente. Gerberto invece osservò di nascosto dove arrivasse l'ombra del dito a mezzogiorno in punto, e tornato sul posto, di notte con un suo cameriere, fece con i suoi incanti spalancare la terra. Ed ecco apparire ai loro sguardi una grande sala e cavalieri d'oro che giocavano con dadi d'oro e la statua d'oro di un re, disteso con la regina davanti alla mensa apparecchiata con vasellame d'oro, in cui il valore dell'arte superava quello del metallo. Nella parte più interna, un carbonchio rompeva l'oscurità col suo rosso splendore: di fronte, nell'angolo opposto, la statua di un fanciullo con l'arco teso. Ma niente si poteva toccare, perché se un intruso vi avvicinava la mano, subito tutte quelle statue parevano balzargli contro... Pure il cameriere non seppe trattenersi dall'afferrare un coltello di grande valore: ma subito le statue incominciarono a vibrare; l'arco del fanciullo scoccò la sua freccia che colpì il carbonchio, riempiendo di tenebra la sala...".
IL PATTO CON IL DIAVOLO
Quali segreti nascondevano dunque la sconcertante camera e il sapere sovrumano di Gerberto di Aurillac? La risposta è semplice quanto sconvolgente: il futuro papa aveva concluso un patto col diavolo. La cosa più straordinaria è che il fatto è provato storicamente e che fu lo stesso pontefice a confessare la cosa. Nella chiesa della santa Croce di Gerusalemme, a Roma, esisteva una iscrizione in latino, che fu fatta scomparire nel corso del XVI secolo, ma non prima che la vedesse quel grande spirito critico che fu Michele Montaigne e che ne fossero pubblicate riproduzioni a stampa. Così diceva la lapide: "Nell' anno del Signore 1003, regnante l'imperatore Ottone, il pontefice Silvestro II, che fu precettore dell'imperatore e che forse non troppo giustamente venne eletto papa, fu avvertito da uno spirito che sarebbe morto il giorno in cui fosse entrato a Gerusalemme. Ignorando forse il nome di questa chiesa, egli vi celebrò la messa nel quinto anno del suo pontificato, e morì in quello stesso giorno. Per grazia divina, poco prima dell'elevazione, egli comprese di essere vicino alla morte: e si pentì degnamente e ispirato dalla santità di questo luogo versò amare lacrime, verosimile segno di salvezza eterna. Finita la messa, egli rivelò allora al popolo le sue colpe e diede ordine che il suo corpo esanime venisse legato a quattro cavalli indemoniati e da loro fatto a pezzi a espiazione dei suoi tremendi peccati, e che i pezzi fossero lasciati insepolti, a meno che Dio nella sua pietà non avesse voluto altrimenti. Poiché i cavalli si arrestarono tutti presso il Laterano, l'Imperatore ordinò che qui egli fosse sepolto e Sergio IV suo successore ne abbellì il sepolcro". Con questa fine insieme atroce e serena, il grande Gerberto papa eretico e mago, si riconciliò per sempre con quel Dio di cui era stato l'energico e caritatevole vicario su questa terra. Ma che cosa avrà narrato il pontefice, presago della prossima fine, allo stupefatto popolo di Roma: quali colpe potevano essere così terribili da indurre ad ubbidire all'ordine di far lacerare dai cavalli le degne spoglie del papa defunto?
LA SCONVOLGENTE CONFESSIONE DI SILVESTRO II
II cronista Walter Map ci ha conservato un racconto che probabilmente riproduce abbastanza da vicino la sconvolgente confessione di Silvestro II: "Quando Gerberto era a Reims, si innamorò perdutamente della figlia del prefetto di quella città, donna bellissima, ammiratissima e corteggiatissima. Per far bella figura con lei, Gerberto si diede a spese pazze, si mise in mano agli usurai e in breve tempo si rovinò. Un giorno, sopraffatto dalle disgrazie, si mise a vagare per un bosco: e improvvisamente gli apparve una donna di una bellezza straordinaria, seduta su un gran drappo di seta, e che aveva davanti a sé un cumulo di monete d'oro. Egli voleva allontanarsi; ma la donna lo chiamò per nome, si disse mossa a compassione del suo stato, e gli offrì tutte le ricchezze che poteva desiderare, purché rinunciasse alla figlia del prefetto, e prendesse lei come compagna ed amante. - Il mio nome è Meridiana, e sono, come tu sei, creatura dell'Altissimo, e a te, come al più degno degli uomini, io offro la mia verginità... - Da allora Meridiana apparve tutte le notti a Gerberto diventando per lui amante, dispensatrice di ricchezze e di conoscenze arcane e infallibile consigliera politica: in cambio, essa ottenne dal futuro papa un formale patto di sottomissione! Durante tutto il tempo del suo sacerdozio, egli non ci cibò più del corpo e del sangue di Cristo, e simulò con frode il sacramento. Meridiana gli annunciò poi che sarebbe morto solo dopo aver celebrato la messa in Gerusalemme. Il papa non aveva nessuna intenzione di recarsi in Terra Santa, e si sentiva perciò sicuro. Ma un giorno andò a celebrare nella chiesa detta appunto della Santa Croce di Gerusalemme: e rideva in un modo sinistro, e gli diceva che tra poco l'avrebbe accolto nel suo regno. Ma Silvestro chiamò intorno a sé i cardinali, il clero e il popolo, si confessò pubblicamente e morì con asprissime penitenze...".
Silvestro II
al secolo Gerberto d'Aurillac
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