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Messaggio Da Angelodiluce Mar Lug 27, 2010 1:30 am

In un mio messaggio precedente ho accostato la Dea insubre dalle auree insegne inammovibili alla Madonnina d’Oro del Duomo di Milano, sita lì dove un tempo sembra vi fosse il tempio della Dea Insubre ricordata da Polibio.
Riccardo Taraglio, nella sua opera Il Vischio e la Quercia ha sintetizzato alcuni interessanti elementi messi in luce dagli studiosi dell’argomento divinità celtiche e tradizione cristiana..
di Riccardo Taraglio
Abbiamo accennato precedentemente alle trasformazioni subite dagli dei e dalle dee celtiche per sopravvivere ed essere adorati dai fedeli dopo l’avvento del cristianesimo. In queste metamorfosi è spesso predominante la figura della Vergine Maria che compare sotto diversi aspetti, alcuni dei quali ci fanno sospettare una sua esistenza pre-cristiana. Si sa che i bardi cristiani del XIII-XIV secolo identificavano la Vergine con la Musa della poesia e ne scrivevano chiamandola il calderone o la fonte dell’ispirazione, la stessa definizione di cui godevano le dee Cerridwen e Brigit. Nella poesia medievale irlandese Maria era identificata chiaramente con la dea della poesia Brigit e non è un caso che la festa celtica di Imbolc (1° febbraio) dedicata a quest’ultima sia stata trasformata dalla Chiesa nella Purificazione di Maria, la Candelora. Il culto mariano, così impregnato di antichi riti in onore della Dea-Madre o delle dee celtiche (comunque espressioni della prima), fu addirittura ostacolato e l’imperatore Costantino lo abolì, ma il rituale della Vergine sopravvisse in seno alla Chiesa.
L’isola britannica di Oltremanica fu la terra in cui il culto maria-no trovò una grande espressione popolare e le Crociate ebbero così il pregio di portare in Europa un’idea di amore romantico e cortese che trasformò i rozzi signori dei castelli e le loro donne nei raffinati signori e dame che ci vengono tramandati dalla cultura medievale. L’opera dei menestrelli che, ricordiamo, erano spesso Bardi dell’antica tradizione druidica, diffuse il ciclo del Graal e gli ideali della cavalleria nelle corti e nei villaggi d’Europa, attuando in parte una modificazione della società e della cultura medievale, oltre che veicolare ancora immagini e simboli celtici. Il culto della Triplice Dea (ricordiamo che Brigit proteggeva artigiani, poeti e guaritori) sopravvisse segretamente nelle Isole Britanniche, e probabilmente non solo lì, per molto tempo, finché i roghi delle streghe non illuminarono lugubremente i cieli d’Europa. il ciclo del Graal: la tradizione celtica nel Medio Evo La difficoltà di risalire dai rituali cristiani o dalle figure di santi e sante ai riti o agli dei e dee delle cerimonie celtiche sta nel fatto che i documenti scritti che possediamo non sono espliciti in proposito.
Questo risulta naturale, essendo la Chiesa cristiana gelosa di una propria superiorità ed indipendenza nei confronti dei culti pagani che essa sostituì con la vera religione (come Sant’Agostino ha ricordato con il suo libro). Fortunatamente le particolarità che caratterizzarono i primi tempi della Chiesa celtica irlandese, spesso in contrasto con quella di Roma, ci hanno lasciato numerose testimonianze di sopravvivenze celtiche nella tradizione cristiana. Vorremmo a questo punto soffermarci sulle leggende celtiche che, entrate a far parte della letteratura medievale, sono giunte fino a noi. Tralasciando gli aspetti leggendari e mitologici celtici e medievali, concentreremo la nostra attenzione sui racconti a sfondo prettamente religioso, anche se, dopo aver analizzato il concetto celtico della vita, risulta inesatta una tale divisione. Tra le varie leggende spicca quella del Santo Graal, il calice nel quale Gesù bevve durante l’Ultima Cena e che con-tenne alcune gocce del suo sangue raccolte da Giuseppe d’ Arimatea.
Il ciclo del Graal è strettamente connesso ai racconti relativi a re Artù e ai Cavalieri della Tavola Rotonda che dedicarono le loro vite alla Cerca del Santo Calice. Si assistette quindi ad un ritorno dello spirito celtico quando, a partire dal XII secolo, i menestrelli erranti, eredi dei filid e dei Bardi, percorsero le strade d’Europa diffondendo gli antichi racconti celtici. In seguito poeti come Chrétien de Troyes, Guglielmo di Malmesbury, Goffredo di Monmouth, Wolfram von Eschembach, ecc. trascrissero in veste nuova i racconti epici di Artù, dei Cavalieri del Graal e di Tristano e Isotta. La Cerca del Graal è un tema essenzialmente moniando in questo modo una sopravvivenza della tradizione celtica nella cultura laica e religiosa dei Medioevo. Una particolarità da segnalare all’attenzione dei lettori è che la Valle d’Aosta è l’unica regione in Europa nella quale si intaglia la raffigurazione del Santo Graal e questo non può che destare il sospetto che tale oggetto sia, in tempi antichissimi, transitato in queste zone.
Spiegazioni meno leggendarie vogliono che la Grolla sia il frutto dei racconti epici che nel XII secolo allietarono le sale dei castelli vaIdostani, colpendo l’immaginazione dei loro frequentatori e di qualche artista che ne volle imprimere nel legno il ricordo.
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