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Apocrifi e Canone

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Apocrifi e Canone Empty Apocrifi e Canone

Messaggio Da Angelodiluce Lun Lug 26, 2010 2:07 pm

Comunemente l’aggettivo "apocrifo", attribuito ad uno scritto di contenuto religioso (Vangelo, Atto, Epistola, Apocalissi ecc.), è considerato sinonimo di "non autentico", "erroneo", "eretico", in contrapposizione a "canonico" che significherebbe invece: "autentico", "veritiero", "ispirato".
In realtà il vocabolo greco per "canone" significa letteralmente: "asta", "bastone", e in particolare "regolo per misurare". Con questo significato tecnico, nel mondo ellenico serviva a indicare la "misura", e quindi la "regola e norma" perfetta, sia in arte che in musica e in letteratura, anche nella sfera dell’attività morale e religiosa.
Di qui è passato al Cristianesimo. Nel Nuovo Testamento lo stesso vocabolo appare solo in due passi delle lettere di Paolo, con valore di "misura" e "regola, norma". La patristica lo ha accolto con questa seconda accezione e, a partire dal IV secolo, facendo la Chiesa della propria autorità il criterio infallibile di giudizio dell’ortodossia, cioè di ciò che rientrava o meno nella propria norma dottrinale, il termine è stato usato anche per designare decreti conciliari o sinodali, norme disciplinari e giuridiche, momenti della liturgia, parti della messa, elenchi di membri del clero, e infine anche cataloghi di libri religiosi di cui si autorizzava l’uso.
Per contrapposto gli scritti esclusi dal catalogo erano definiti apocrifi.
Si vuol vedere in questa pratica una derivazione dalla consuetudine ebraica di considerare "hisonim" (= non ispirati) o "genuzim" (= scartati e messi in "geniza", cioè in nascondiglio) i libri estranei al corpus biblico. Ma i rapporti tra canone e apocrifi non hanno a che vedere con l’usanza ebraica, sia perché il cristianesimo non ebbe fin dalle origini un canone prestabilito, sia perché l’aggettivo apocrifo non aveva significati del genere.
Il termine greco per "apocrifo" vuol dire "segreto", "nascosto" e nella terminologia religiosa indicava i libri segreti, rivelatori di verità occulte, non facilmente assimilabili dalle masse dei fedeli, e destinati perciò all’istruzione superiore degli iniziati, adepti di una setta. Nell’ambiente cristiano l’aggettivo fu primitivamente adoperato, non in corrispondenza della elaborazione del canone, ma per definire i testi gnostici, che appunto si servivano di un linguaggio ermetico, ricco di simbolismi e criptogrammi.
Rifiutando, in parte, l’interpretazione gnostica del messaggio di Gesù e della sua persona, fu allora che i Padri della Chiesa non hanno esitato ad attribuire al termine "apocrifo", con cui gli stessi gnostici designavano le loro opere, il concetto di spurio e falso. Poi l’aggettivo venne indiscriminatamente esteso, con questo valore dispregiativo, a tutti i testi sospetti di eresia o comunque non conformi alla "norma" dottrinale ufficialmente riconosciuta, e cioè a tutti gli scritti religiosi extracanonici, anche preesistenti alla formazione del canone stesso. Ma, essendosi il canone formato mediante una scelta tra un certo numero di opere, quelle che esistevano fino a tale data avevano goduto pieno e legittimo diritto di cittadinanza. Il processo di illegittimità, se mai, può essere intentato soltanto agli scritti che hanno visto la luce dopo la costituzione del canone. Ad ogni modo, si distingue generalmente gli apocrifi in due grandi sezioni: una proto-letteratura cristiana e una letteratura greco-romana di professione cristiana, non ufficiale. Non ci proponiamo ora di approfondire una tematica così complessa; dai vari testi apocrifi ci limiteremo ad estrapolare quei brani che ci riconducono alla realtà Angelica. L’Arcangelo Gabriele appare immancabilmente nei Vangeli apocrifi denominati "dell’Infanzia" (per le Annunciazioni delle nascite di Maria e di Gesù) e gli Angeli appaiono nei "Vangeli della Passione e della Resurrezione" accanto al Cristo Risorto, ma "altri" Angeli ci fanno conoscere il loro Mondo sotto una luce particolare e diversa rispetto a quella mostrata dai testi canonici.
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