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Ci vorrebbe un nuovo Costantino
Pagina 1 di 1
Ci vorrebbe un nuovo Costantino
Intervista di Emanuele Boffi
Di statisticamente rilevante non v'è solo il monumentale numero di opere d'arte e reperti archeologici provenienti da 34 diversi musei europei («"Ma come diavolo avete fatto?", mi chiedono i colleghi del British Museum», racconta divertito a «Tempi» il curatore Giovanni Gentili). Di storicamente appetitoso non v'è solo la documentazione politica, culturale e religiosa di quelle radici da cui nascerà l'Europa e che oggi il Vecchio Continente rinnega. Di umanamente avvincente non v'è solo il romanzo di intrighi, amori e assassinii di corte (madri che fanno uccidere figli, mariti che uccidono mogli, locandiere che si fanno sante). Di tutto ciò, la mostra del Meeting, «Costantino il grande, la civiltà antica al bivio fra Occidente e Oriente», è ricca, avendo mischiato la grande storia con le vicende personali, l'evento con l'aneddoto, l'aspirazione alla santità con la piccineria di meschine lotte di potere. Ma di realmente avvincente - e attuale - vi è soprattutto una suggestione: la libertà del rapporto tra uomo e Dio. E la prima embrionale consapevolezza, da parte del potere, che tale rapporto - fra l'uomo e il mistero - non può essere stabilito o negato per legge, non può essere una concessione dell'impero, ma è una libertà originale della persona. Lo Stato riconosce la necessità di altro da sé - la Chiesa - perché tale libertà possa esprimersi.
Per addentrarsi in questa suggestione bisogna guardare a questo mondo antico da una prospettiva rovesciata, o perlomeno diversa rispetto alla mentalità moderna, sempre indotta a chiedersi quali vincoli l'uomo debba tagliare per affrancarsi dalla divinità. E occorre, invece, pensare il mondo dalla prospettiva divina, teocentrica e non antropocentrica. «Per me, ed è qui il punto che io ritengo attualissimo, è l'idea che la libertà religiosa della persona dipenda dal diritto della divinità ad essere adorata. Cioè: i diritti della persona sono fondati sui diritti della divinità» dice a «Tempi» Marta Sordi. «Per i romani - prosegue la docente emerita di Storia romana, nel comitato di consulenza scientifica dell'evento - esiste uno ius divino inviolabile da cui dipendono i diritti degli uomini». Il collegamento con le vicende d'oggigiorno è coglibile in negativo perché la mentalità odierna «pretende di negare che la morale e la libertà siano agganciate a una trascendenza divina (basti ricordare che nella Costituzione italiana ed europea si rifiuta di nominare il nome di Dio, come invece in quella americana). L'intento di voler fondare sulla divinità trascendente - senza volerla definire in maniera confessionale - anche i diritti dell'uomo è un'idea che gli antichi avevano in sé e trasportavano nelle scelte politiche. Un'idea che il cosiddetto Editto di Milano del 313 sposa in pieno».
Tale Editto è il fulcro del percorso della mostra, perché è il fulcro stesso della vita dell'imperatore Costantino. Prima e dopo il 313 la sua esistenza - e quella dei suoi contemporanei e, oseremmo dire, la nostra - non sarà più la stessa. A ben guardare, sembra che la stessa vicenda personale di Costantino sia - prima - tutta inconsapevolmente e poi sempre più coscientemente, tesa all'emanazione di quell'editto, e - quindi - un tirare le conseguenze di quella decisione assunta.
DALLO STERCO AL REGNO
Costantino nacque a Naisso, nell'attuale Serbia, intorno al 280 dalla relazione fra Costanzo Cloro, così chiamato per il colore slavato del volto, Cesare d'Occidente di Massimiano e la stabularia Elena. Sant'Ambrogio, parlando di questa straordinaria donna, racconta che era passata «dallo sterco al regno»; dalla sporca locanda in cui convivevano gli escrementi degli animali con gli uomini, al grado di Augusta, assegnatole in tempi migliori dall'affezionatissimo figlio. «Elena - spiega Sordi -, che è considerata santa dai cattolici per aver voluto gli scavi sul Golgota alla ricerca della croce di Cristo e per le grandi basiliche, era senz'altro una donna di umili origini. La leggenda che ce la presenta come una principessa britannica non ha senz'altro fondamento, essendo smentita da fonti sia cristiane - Ambrogio - sia pagane». Elena aveva avuto Costantino da Costanzo quando questi era un semplice ufficiale e «non siamo sicuri che fossero sposati, anzi. Non sono sicura fosse la moglie, potrebbe essere stata una concubina». Costanzo considerò sempre Costantino proprio legittimo figlio, anche quando ripudiò Elena per sposare la figlia di Massimiano e diventare Cesare d'Occidente. Proprio in quell'occasione Costantino - che nel frattempo si era unito con una donna di nome Minervina che poi lascerà - raggiunse il padre in Gallia. Questi morì il 23 luglio del 306 e le truppe acclamarono imperatore il figlio.
Era la fine della tetrarchia, l'illusorio sistema creato da Diocleziano per dare stabilità all'impero. Guerre per la conquista del potere e fama di vittorie poterono più dei compromessi politici o matrimoniali (Massimiano aveva cercato un accordo con Costantino offrendogli in moglie Fausta, una sua figlia così giovane che, scrive Augusto Fraschetti nel catalogo della mostra, «il matrimonio potè essere consumato solo dieci anni più tardi»). «Costantino non era certo uno stinco di santo» chiosa Sordi. Ambrogio ci descrive «il cielo dove si trova Costantino», «ma i cattolici - prosegue la storica -, pure considerandolo un grande imperatore, hanno qualche difficoltà a nominarlo santo come la madre». Che l'uomo fosse di maniere sbrigative lo confermano i trattamenti che riservò a Massimiano (fatto "suicidare" a Marsiglia) e al figlio Crispo e alla moglie Fausta. La quale - racconta Zosimo, storico fortemente ostile a Costantino - convinse il marito a far decapitare il figlio, con il quale aveva forse una relazione, con l'accusa di alto tradimento. Scoperto l'inganno, grazie all'intervento della madre Elena, Costantino ucciderà Fausta a Nicomedia, soffocandola coi vapori del bagno imperiale.
SUMMUS ET UNUS
Dopo aver combattuto con gloria nelle Gallie contro Massimiano, Costantino strinse alleanza con Licinio, l'Augusto d'Oriente, contro Massenzio, figlio dello stesso Massimiano. Avendone sbaragliato le truppe a Torino e a Verona, puntò su Roma. «Qui - scrive nel catalogo Angela Donati, professoressa di Epigrafia e Antichità romane a Bologna - lungo la via Flaminia alle porte della città, al ponte Milvio, avvenne lo scontro decisivo che si concluse con la morte di Massenzio, annegato nel Tevere, e con l'ingresso di Costantino a Roma».
La notte prima dello scontro decisivo - la notte fra il 27 e il 28 ottobre del 312 - Dio scelse da che parte stare. Costantino ebbe una visione in cui fu incoraggiato alla battaglia e il giorno seguente le sue truppe scesero sul campo con il monogamma di Cristo (Chi-Ro) su insegne, scudi ed elmi. Pur in inferiorità numerica sconfissero il tiranno Massenzio. Secondo la «Vita Costantini» di Eusebio, l'imperatore era stato molto preoccupato, durante la campagna militare, per le arti magiche di Massenzio e si era convinto fosse impossibile sconfiggerlo senza l'aiuto divino. «Per questo - spiega Sordi - all'inizio della campagna d'Italia, Costantino cerca un dio che lo aiuti. Sa che gli dei tradizionali, Giove ed Ercole, non sono invincibili e decide di rivolgersi al dio onorato da suo padre, adepto del culto solare che si basava sull'adorazione di un «summus deus», onniscente, onnipotente e misericordioso, dai molti nomi. Un dio non unico ma più grande degli altri». Costantino si rivolge a questo dio misterioso («Chiunque tu sia e con qualsiasi nome tu voglia essere chiamato») chiedendogli di prendere l'impero nelle sue mani. E Questi fa comparire nel sole che tramonta la croce: «Con questo vinci». Dopo la visione, Costantino chiede informazioni a Osio, il vescovo di Cordova, che gli spiega che la croce è il segno dell'immortalità e trofeo della vittoria sulla morte. «Eusebio stesso ci dice che "se non lo avesse detto l'imperatore io stesso non ci avrei creduto". Da quell'istante il dio dai molti nomi, improvvisamente, assume un nome, quello dell'unico Dio dei cristiani. Costantino superò il culto solare senza rinnegarlo, dando semplicemente un nome all'inconoscibile, identificandolo. Dio non è più solo "summus" ma è anche "unus". Da allora in poi Costantino non vorrà mai più sentire parlare di altri dei».
PER ISPIRAZIONE DIVINA
La notte da Innominato di Costantino è stata variamente interpretata dagli storici antichi e moderni: da chi la relega a pura leggenda, a chi vi crede, a chi ne legge la calcolata convenienza nel tentativo di ingraziarsi i cristiani. La terza ipotesi, la più seguita da chi vede la conversione di Costantino e relativo Editto di tolleranza del 313 come puro tornaconto politico, è quella che va per la maggiore sui manuali di storia delle nostre scuole. Marta Sordi la rigetta con forza: «Lo storico non è obbligato ovviamente a credere alla realtà della visione di Costantino, ma ben difficilmente, se non è prevenuto, può negare che l'uomo non abbia avuto un'esperienza religiosa eccezionale». Secondo la storica sono i fatti a parlare. Primo: «Massenzio non era un persecutore dei cristiani, anzi già nel 306 aveva proclamato un editto di tolleranza nei loro confronti e nel 311 aveva loro restituito i beni confiscati. Le motivazioni che avevano spinto allo scontro fra i due non erano affatto religiose, ma di semplice supremazia politica. Quando Costantino giunge a Roma, il Senato vi fa erigere l'arco che porta il suo nome e iscrivere sopra che la vittoria è avvenuta con l'aiuto e l'ispirazione di una non meglio precisata divinità, "instinctu divinitatis"». Secondo: «Costantino guidava l'esercito delle Gallie cioè dell'Occidente in cui il cristianesimo era giunto, ma era ancora minoritario. I suoi soldati erano in gran parte pagani». Per Sordi la conversione è personale e "politica", non nel senso che è fatta di calcoli immediati e contingenti, ma nel senso che è fatta di una «"politica verso la divinità" che era la sostanza della religiosità romana. Io amo dire che si trattò di una "conversione romana al cristianesimo". È la concezione romana - tipica già dell'età arcaica e che rivive nel mondo tardo antico - della necessità per lo Stato di instaurare un'alleanza con la divinità. È il concetto di "pax deorum" da intendere non solo come "pace" ma come "patto" con gli dei. È la convinzione che la forza dello Stato, che il successo della repubblica o dell'impero dipenda dalla protezione divina. Per Cicerone la salvezza dello Stato si fonda sull'aiuto degli dei e non sui "consilia" (i disegni) degli uomini».
La storiografia che ha tentato di eliminare il "miracolo" della conversione di Costantino è già antica. Secondo il già citato Zosimo, l'ultimo storico pagano di lingua greca del V secolo d.C., essa era dovuta ai sensi di colpa dell'imperatore per l'assassinio del figlio e della moglie. Così posticipa, deliberatamente e in mala fede, al 326 il passaggio al cristianesimo. «Che Zosimo menta, non risulta solo dalle fonti cristiane, ma anche da quelle pagane, i panegirici del 313 e del 326», dice Sordi.
Entrato a Roma, Costantino si rifiuta di salire in Campidoglio per ringraziare della vittoria Giove Ottimo Massimo. Lo scandalo - era il primo imperatore a permettersi un atteggiamento del genere verso gli dei tradizionali - fu grande. Nel panegirico pronunciato alla presenza dell'imperatore nel 313, un anonimo retore pagano afferma che Costantino ha un rapporto segreto con una «mente divina» a lui solo degna di manifestarsi. Nella preghiera finale si rivolge al "summe rerum sator" (sommo creatore delle cose) «che volle avere tanti nomi quante sono le lingue dei popoli e di cui non possiamo sapere come egli stesso voglia essere chiamato, mens divina immanente al mondo o autore trascendente (extrinsecus) di ogni movimento...». «Quel che colpisce del panegirico - nota Sordi - è la circospezione dell'autore nel nominare la benevola divinità. Difficile sostenere che nel 312 non fosse successo nulla. Inoltre, se confrontiamo il linguaggio di questo retore con quello degli autori dei panegirici delle vittorie del 307 e del 310, notiamo che in tali testi, oltre al dio solare identificato con Apollo, sono nominati senza problemi Giove e tutte le altre divinità. Dunque lo storico deve chiedersi: cosa è successo? Cosa è successo a Costantino?».
UNA SOLA PAROLA: LIBERTAS
Giunto a Roma, Costantino si affretta a scrivere al proconsole d'Africa affinché restituisca ai cristiani i beni confiscati. In Oriente nel 311 Galerio, grande persecutore dei cristiani, aveva emanato l'editto di tolleranza di Serdica in cui ammetteva il fallimento della persecuzione e, anzi, chiedeva ai cristiani di pregare il loro Dio per l'impero. «Il patetico editto di Serdica emanato da un morente Galerio - spiega Sordi - è in realtà ispirato da Licinio, futuro collaboratore e poi antagonista di Costantino. Lo spirito di questo editto è il ristabilimento della pax divinitatis». È permesso ai cristiani di professare il proprio culto ma con un pò di supponenza (si concede indulgenza pur considerandoli degli stolti) e molto calcolo religioso (non facciamo arrabbiare il loro potente Dio). L'Editto di Milano nasce dal compromesso fra Costantino e Licinio e ha tutto un altro tono. La parola che torna e ritorna è «libertas». L'editto concede «christianis et omnibus» (ai cristiani e a tutti) la libertà di aderire alla religione che ciascuno sceglie affinché «qualsiasi divinità ci sia in cielo sia propizia all'impero romano». «Ed eccolo lì di nuovo il concetto di "pax deorum"», nota Sordi. «Leggere i due editti in parallelo basta per vedere l'abisso che c'è fra uno e l'altro. In quello di Serdica si afferma un'idea di tolleranza concessa a denti stretti, mentre a Milano c'è l'insistenza sul valore della libertà affinché la divinità sia favorevole».
L'editto, basato sull'equilibrio di forze tra Costantino, che lo considerava una concessione minima, e Licinio, che lo viveva come concessione massima, ha cambiato la storia dell'Occidente. Costantino morì il 22 maggio 337; a battezzarlo ci pensò il vescovo ariano Eusebio di Nicomedia. Aldilà del futuro extraterreno di Costantino, rimane da constatare come le sue scelte e quell'Editto del 313 risultarono essere il punto sorgivo di una piena libertà religiosa. Libertà che, accanto alle riforme apportate in campo monetario con l'introduzione dei "solida" (soldi) e la suddivisione in provincie del vasto impero, ha dato vita all'Europa.
Di statisticamente rilevante non v'è solo il monumentale numero di opere d'arte e reperti archeologici provenienti da 34 diversi musei europei («"Ma come diavolo avete fatto?", mi chiedono i colleghi del British Museum», racconta divertito a «Tempi» il curatore Giovanni Gentili). Di storicamente appetitoso non v'è solo la documentazione politica, culturale e religiosa di quelle radici da cui nascerà l'Europa e che oggi il Vecchio Continente rinnega. Di umanamente avvincente non v'è solo il romanzo di intrighi, amori e assassinii di corte (madri che fanno uccidere figli, mariti che uccidono mogli, locandiere che si fanno sante). Di tutto ciò, la mostra del Meeting, «Costantino il grande, la civiltà antica al bivio fra Occidente e Oriente», è ricca, avendo mischiato la grande storia con le vicende personali, l'evento con l'aneddoto, l'aspirazione alla santità con la piccineria di meschine lotte di potere. Ma di realmente avvincente - e attuale - vi è soprattutto una suggestione: la libertà del rapporto tra uomo e Dio. E la prima embrionale consapevolezza, da parte del potere, che tale rapporto - fra l'uomo e il mistero - non può essere stabilito o negato per legge, non può essere una concessione dell'impero, ma è una libertà originale della persona. Lo Stato riconosce la necessità di altro da sé - la Chiesa - perché tale libertà possa esprimersi.
Per addentrarsi in questa suggestione bisogna guardare a questo mondo antico da una prospettiva rovesciata, o perlomeno diversa rispetto alla mentalità moderna, sempre indotta a chiedersi quali vincoli l'uomo debba tagliare per affrancarsi dalla divinità. E occorre, invece, pensare il mondo dalla prospettiva divina, teocentrica e non antropocentrica. «Per me, ed è qui il punto che io ritengo attualissimo, è l'idea che la libertà religiosa della persona dipenda dal diritto della divinità ad essere adorata. Cioè: i diritti della persona sono fondati sui diritti della divinità» dice a «Tempi» Marta Sordi. «Per i romani - prosegue la docente emerita di Storia romana, nel comitato di consulenza scientifica dell'evento - esiste uno ius divino inviolabile da cui dipendono i diritti degli uomini». Il collegamento con le vicende d'oggigiorno è coglibile in negativo perché la mentalità odierna «pretende di negare che la morale e la libertà siano agganciate a una trascendenza divina (basti ricordare che nella Costituzione italiana ed europea si rifiuta di nominare il nome di Dio, come invece in quella americana). L'intento di voler fondare sulla divinità trascendente - senza volerla definire in maniera confessionale - anche i diritti dell'uomo è un'idea che gli antichi avevano in sé e trasportavano nelle scelte politiche. Un'idea che il cosiddetto Editto di Milano del 313 sposa in pieno».
Tale Editto è il fulcro del percorso della mostra, perché è il fulcro stesso della vita dell'imperatore Costantino. Prima e dopo il 313 la sua esistenza - e quella dei suoi contemporanei e, oseremmo dire, la nostra - non sarà più la stessa. A ben guardare, sembra che la stessa vicenda personale di Costantino sia - prima - tutta inconsapevolmente e poi sempre più coscientemente, tesa all'emanazione di quell'editto, e - quindi - un tirare le conseguenze di quella decisione assunta.
DALLO STERCO AL REGNO
Costantino nacque a Naisso, nell'attuale Serbia, intorno al 280 dalla relazione fra Costanzo Cloro, così chiamato per il colore slavato del volto, Cesare d'Occidente di Massimiano e la stabularia Elena. Sant'Ambrogio, parlando di questa straordinaria donna, racconta che era passata «dallo sterco al regno»; dalla sporca locanda in cui convivevano gli escrementi degli animali con gli uomini, al grado di Augusta, assegnatole in tempi migliori dall'affezionatissimo figlio. «Elena - spiega Sordi -, che è considerata santa dai cattolici per aver voluto gli scavi sul Golgota alla ricerca della croce di Cristo e per le grandi basiliche, era senz'altro una donna di umili origini. La leggenda che ce la presenta come una principessa britannica non ha senz'altro fondamento, essendo smentita da fonti sia cristiane - Ambrogio - sia pagane». Elena aveva avuto Costantino da Costanzo quando questi era un semplice ufficiale e «non siamo sicuri che fossero sposati, anzi. Non sono sicura fosse la moglie, potrebbe essere stata una concubina». Costanzo considerò sempre Costantino proprio legittimo figlio, anche quando ripudiò Elena per sposare la figlia di Massimiano e diventare Cesare d'Occidente. Proprio in quell'occasione Costantino - che nel frattempo si era unito con una donna di nome Minervina che poi lascerà - raggiunse il padre in Gallia. Questi morì il 23 luglio del 306 e le truppe acclamarono imperatore il figlio.
Era la fine della tetrarchia, l'illusorio sistema creato da Diocleziano per dare stabilità all'impero. Guerre per la conquista del potere e fama di vittorie poterono più dei compromessi politici o matrimoniali (Massimiano aveva cercato un accordo con Costantino offrendogli in moglie Fausta, una sua figlia così giovane che, scrive Augusto Fraschetti nel catalogo della mostra, «il matrimonio potè essere consumato solo dieci anni più tardi»). «Costantino non era certo uno stinco di santo» chiosa Sordi. Ambrogio ci descrive «il cielo dove si trova Costantino», «ma i cattolici - prosegue la storica -, pure considerandolo un grande imperatore, hanno qualche difficoltà a nominarlo santo come la madre». Che l'uomo fosse di maniere sbrigative lo confermano i trattamenti che riservò a Massimiano (fatto "suicidare" a Marsiglia) e al figlio Crispo e alla moglie Fausta. La quale - racconta Zosimo, storico fortemente ostile a Costantino - convinse il marito a far decapitare il figlio, con il quale aveva forse una relazione, con l'accusa di alto tradimento. Scoperto l'inganno, grazie all'intervento della madre Elena, Costantino ucciderà Fausta a Nicomedia, soffocandola coi vapori del bagno imperiale.
SUMMUS ET UNUS
Dopo aver combattuto con gloria nelle Gallie contro Massimiano, Costantino strinse alleanza con Licinio, l'Augusto d'Oriente, contro Massenzio, figlio dello stesso Massimiano. Avendone sbaragliato le truppe a Torino e a Verona, puntò su Roma. «Qui - scrive nel catalogo Angela Donati, professoressa di Epigrafia e Antichità romane a Bologna - lungo la via Flaminia alle porte della città, al ponte Milvio, avvenne lo scontro decisivo che si concluse con la morte di Massenzio, annegato nel Tevere, e con l'ingresso di Costantino a Roma».
La notte prima dello scontro decisivo - la notte fra il 27 e il 28 ottobre del 312 - Dio scelse da che parte stare. Costantino ebbe una visione in cui fu incoraggiato alla battaglia e il giorno seguente le sue truppe scesero sul campo con il monogamma di Cristo (Chi-Ro) su insegne, scudi ed elmi. Pur in inferiorità numerica sconfissero il tiranno Massenzio. Secondo la «Vita Costantini» di Eusebio, l'imperatore era stato molto preoccupato, durante la campagna militare, per le arti magiche di Massenzio e si era convinto fosse impossibile sconfiggerlo senza l'aiuto divino. «Per questo - spiega Sordi - all'inizio della campagna d'Italia, Costantino cerca un dio che lo aiuti. Sa che gli dei tradizionali, Giove ed Ercole, non sono invincibili e decide di rivolgersi al dio onorato da suo padre, adepto del culto solare che si basava sull'adorazione di un «summus deus», onniscente, onnipotente e misericordioso, dai molti nomi. Un dio non unico ma più grande degli altri». Costantino si rivolge a questo dio misterioso («Chiunque tu sia e con qualsiasi nome tu voglia essere chiamato») chiedendogli di prendere l'impero nelle sue mani. E Questi fa comparire nel sole che tramonta la croce: «Con questo vinci». Dopo la visione, Costantino chiede informazioni a Osio, il vescovo di Cordova, che gli spiega che la croce è il segno dell'immortalità e trofeo della vittoria sulla morte. «Eusebio stesso ci dice che "se non lo avesse detto l'imperatore io stesso non ci avrei creduto". Da quell'istante il dio dai molti nomi, improvvisamente, assume un nome, quello dell'unico Dio dei cristiani. Costantino superò il culto solare senza rinnegarlo, dando semplicemente un nome all'inconoscibile, identificandolo. Dio non è più solo "summus" ma è anche "unus". Da allora in poi Costantino non vorrà mai più sentire parlare di altri dei».
PER ISPIRAZIONE DIVINA
La notte da Innominato di Costantino è stata variamente interpretata dagli storici antichi e moderni: da chi la relega a pura leggenda, a chi vi crede, a chi ne legge la calcolata convenienza nel tentativo di ingraziarsi i cristiani. La terza ipotesi, la più seguita da chi vede la conversione di Costantino e relativo Editto di tolleranza del 313 come puro tornaconto politico, è quella che va per la maggiore sui manuali di storia delle nostre scuole. Marta Sordi la rigetta con forza: «Lo storico non è obbligato ovviamente a credere alla realtà della visione di Costantino, ma ben difficilmente, se non è prevenuto, può negare che l'uomo non abbia avuto un'esperienza religiosa eccezionale». Secondo la storica sono i fatti a parlare. Primo: «Massenzio non era un persecutore dei cristiani, anzi già nel 306 aveva proclamato un editto di tolleranza nei loro confronti e nel 311 aveva loro restituito i beni confiscati. Le motivazioni che avevano spinto allo scontro fra i due non erano affatto religiose, ma di semplice supremazia politica. Quando Costantino giunge a Roma, il Senato vi fa erigere l'arco che porta il suo nome e iscrivere sopra che la vittoria è avvenuta con l'aiuto e l'ispirazione di una non meglio precisata divinità, "instinctu divinitatis"». Secondo: «Costantino guidava l'esercito delle Gallie cioè dell'Occidente in cui il cristianesimo era giunto, ma era ancora minoritario. I suoi soldati erano in gran parte pagani». Per Sordi la conversione è personale e "politica", non nel senso che è fatta di calcoli immediati e contingenti, ma nel senso che è fatta di una «"politica verso la divinità" che era la sostanza della religiosità romana. Io amo dire che si trattò di una "conversione romana al cristianesimo". È la concezione romana - tipica già dell'età arcaica e che rivive nel mondo tardo antico - della necessità per lo Stato di instaurare un'alleanza con la divinità. È il concetto di "pax deorum" da intendere non solo come "pace" ma come "patto" con gli dei. È la convinzione che la forza dello Stato, che il successo della repubblica o dell'impero dipenda dalla protezione divina. Per Cicerone la salvezza dello Stato si fonda sull'aiuto degli dei e non sui "consilia" (i disegni) degli uomini».
La storiografia che ha tentato di eliminare il "miracolo" della conversione di Costantino è già antica. Secondo il già citato Zosimo, l'ultimo storico pagano di lingua greca del V secolo d.C., essa era dovuta ai sensi di colpa dell'imperatore per l'assassinio del figlio e della moglie. Così posticipa, deliberatamente e in mala fede, al 326 il passaggio al cristianesimo. «Che Zosimo menta, non risulta solo dalle fonti cristiane, ma anche da quelle pagane, i panegirici del 313 e del 326», dice Sordi.
Entrato a Roma, Costantino si rifiuta di salire in Campidoglio per ringraziare della vittoria Giove Ottimo Massimo. Lo scandalo - era il primo imperatore a permettersi un atteggiamento del genere verso gli dei tradizionali - fu grande. Nel panegirico pronunciato alla presenza dell'imperatore nel 313, un anonimo retore pagano afferma che Costantino ha un rapporto segreto con una «mente divina» a lui solo degna di manifestarsi. Nella preghiera finale si rivolge al "summe rerum sator" (sommo creatore delle cose) «che volle avere tanti nomi quante sono le lingue dei popoli e di cui non possiamo sapere come egli stesso voglia essere chiamato, mens divina immanente al mondo o autore trascendente (extrinsecus) di ogni movimento...». «Quel che colpisce del panegirico - nota Sordi - è la circospezione dell'autore nel nominare la benevola divinità. Difficile sostenere che nel 312 non fosse successo nulla. Inoltre, se confrontiamo il linguaggio di questo retore con quello degli autori dei panegirici delle vittorie del 307 e del 310, notiamo che in tali testi, oltre al dio solare identificato con Apollo, sono nominati senza problemi Giove e tutte le altre divinità. Dunque lo storico deve chiedersi: cosa è successo? Cosa è successo a Costantino?».
UNA SOLA PAROLA: LIBERTAS
Giunto a Roma, Costantino si affretta a scrivere al proconsole d'Africa affinché restituisca ai cristiani i beni confiscati. In Oriente nel 311 Galerio, grande persecutore dei cristiani, aveva emanato l'editto di tolleranza di Serdica in cui ammetteva il fallimento della persecuzione e, anzi, chiedeva ai cristiani di pregare il loro Dio per l'impero. «Il patetico editto di Serdica emanato da un morente Galerio - spiega Sordi - è in realtà ispirato da Licinio, futuro collaboratore e poi antagonista di Costantino. Lo spirito di questo editto è il ristabilimento della pax divinitatis». È permesso ai cristiani di professare il proprio culto ma con un pò di supponenza (si concede indulgenza pur considerandoli degli stolti) e molto calcolo religioso (non facciamo arrabbiare il loro potente Dio). L'Editto di Milano nasce dal compromesso fra Costantino e Licinio e ha tutto un altro tono. La parola che torna e ritorna è «libertas». L'editto concede «christianis et omnibus» (ai cristiani e a tutti) la libertà di aderire alla religione che ciascuno sceglie affinché «qualsiasi divinità ci sia in cielo sia propizia all'impero romano». «Ed eccolo lì di nuovo il concetto di "pax deorum"», nota Sordi. «Leggere i due editti in parallelo basta per vedere l'abisso che c'è fra uno e l'altro. In quello di Serdica si afferma un'idea di tolleranza concessa a denti stretti, mentre a Milano c'è l'insistenza sul valore della libertà affinché la divinità sia favorevole».
L'editto, basato sull'equilibrio di forze tra Costantino, che lo considerava una concessione minima, e Licinio, che lo viveva come concessione massima, ha cambiato la storia dell'Occidente. Costantino morì il 22 maggio 337; a battezzarlo ci pensò il vescovo ariano Eusebio di Nicomedia. Aldilà del futuro extraterreno di Costantino, rimane da constatare come le sue scelte e quell'Editto del 313 risultarono essere il punto sorgivo di una piena libertà religiosa. Libertà che, accanto alle riforme apportate in campo monetario con l'introduzione dei "solida" (soldi) e la suddivisione in provincie del vasto impero, ha dato vita all'Europa.
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