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I Vegetariani e le Malattie
Pagina 1 di 1
I Vegetariani e le Malattie
Obesità
Tra gli Avventisti del Settimo Giorno (SDA), il 40% dei quali segue una
dieta senza carne, le abitudini dietetiche vegetariane sono state associate
con valori più bassi di Body Mass Index (BMI, Indice di Massa Corporea).
Nell'Adventist Health Study, (Studio sulla Salute degli Avventisti), che ha
confrontato i soggetti vegetariani con i non-vegetariani all'interno della
popolazione degli Avventisti, il valore del BMI tendeva ad aumentare in
parallelo all'aumento di frequenza dell'assunzione di carne, sia negli
uomini che nelle donne . Nell'Oxford Vegetarian Study, (Studio di Oxford
sui Vegetariani) i valori di BMI sono risultati più elevati nei
non-vegetariani confrontati con i vegetariani in tutti i gruppi di età, sia
negli uomini che nelle donne.
In uno studio su 4.000 uomini e donne condotto in Inghilterra, che ha
confrontato la relazione tra consumo di carne ed obesità in carnivori,
pescivori, lacto-ovo-vegetariani e vegani, i valori medi di BMI sono
risultati più elevati nei carnivori e più bassi nei vegani. Il BMI è
risultato più basso in quei lacto-ovo-vegetariani e vegani che seguivano il
proprio regime dietetico da 5 anni o più. I fattori che possono aiutare a
spiegare il più basso BMI nei vegetariani includono differenze nel contenuto
di macronutrienti (ridotte quantità di proteine, grassi, e grassi animali),
un più elevato consumo di fibre, ridotte assunzioni di alcolici e più
elevati consumi di verdura.
Malattie Cardiovascolari
Uno studio che analizzava 5 studi prospettici comprendenti più di 76.000
soggetti, ha mostrato che la mortalità dovuta a cardiopatia ischemica era
inferiore del 31% tra gli uomini vegetariani confrontati con i
non-vegetariani, e del 20% tra le donne vegetariane confrontate con le
non-vegetariane . La mortalità è risultata inferiore in uomini e donne
vegetariane anche quando confrontati con soggetti semi-vegetariani, soggetti
pescivori e soggetti che assumevano carne con frequenza inferiore ad 1 volta
per settimana. Tra gli SDA, gli uomini vegetariani presentavano una
riduzione del 37% nel rischio di sviluppare cardiopatia ischemica quando
confrontati con gli uomini non-vegetariani . Nell'unico studio sugli SDA
che includesse soggetti vegani, il rischio di sviluppare cardiopatia è
risultato pure più basso tra gli uomini vegani rispetto ai
lacto-ovo-vegetariani.
I ridotti tassi di cardiopatia tra i vegetariani sono spiegabili in parte
grazie ai loro ridotti livelli di colesterolo plasmatico. Una revisione di
nove studi ha trovato che, quando confrontati con i non-vegetariani, i
lacto-ovo-vegetariani ed i vegani presentavano livelli medi di colesterolo
plasmatico più bassi rispettivamente del 14% e del 35%. Sebbene il più
basso BMI medio dei vegetariani possa aiutare a spiegare questo dato, Sacks
e collaboratori hanno riscontrato che, anche in soggetti vegetariani con
peso corporeo superiore a soggetti non-vegetariani, i soggetti vegetariani
presentavano valori di lipoproteine plasmatiche marcatamente più bassi,
e Thorogood e colleghi hanno riscontrato che differenze nei lipidi
plasmatici di vegetariani, vegani e carnivori permangono anche dopo
aggiustamento per il BMI. Alcuni studi, anche se non tutti, hanno
riscontrato livelli ridotti di lipoproteine ad alta densità (HDL) nei
soggetti vegetariani. Ridotti livelli di HDL possono essere
riconducibili al tipo o quantità di grassi dietetici, oppure a ridotte
assunzioni di alcol. Questo riscontro può aiutare a spiegare le minori
differenze nell'incidenza di cardiopatia nelle donne vegetariane rispetto
alle non-vegetariane, dal momento che i livelli di HDL possono costituire
per le donne un fattore di rischio più importante rispetto ai livelli di LDL.
I livelli medi di trigliceridi tendono invece ad essere simili in
vegetariani e non.
Una varietà di fattori presenti nelle diete vegetariane possono influenzare
i livelli di colesterolo. Sebbene alcuni studi dimostrino che molti
vegetariani tipicamente non consumino diete a basso contenuto di grassi, l'
assunzione di grassi saturi è sensibilmente inferiore nei vegetariani
rispetto ai non-vegetariani, ed i vegani sono quelli che presentano il più
basso rapporto grassi saturi:grassi insaturi nella dieta. I vegetariani
consumano pure meno colesterolo dei non-vegetariani, sebbene i valori
massimi e minimi di assunzione varino sensibilmente da uno studio all'altro.
Le diete vegane sono prive di colesterolo.
I vegetariani consumano tra il 50% ed il 100% di fibre in più rispetto ai
non-vegetariani, ed i vegani presentano assunzioni più elevate rispetto ai
lacto-ovo-vegetariani. Le fibre solubili possono ridurre il rischio di
malattie cardiovascolari abbassando i livelli ematici di colesterolo.
Un certo numero di studi suggerisce come le proteine animali siano
direttamente associate con più elevati livelli ematici di colesterolo, anche
quando gli altri fattori dietetici risultino sotto controllo. I
lacto-ovo-vegetariani consumano meno proteine animali dei non-vegetariani,
mentre i vegani non ne consumano affatto. Gli studi scientifici dimostrano
che il consumo di almeno 25 g al giorno di proteine di soia, assunte sia in
sostituzione delle proteine animali che in aggiunta alla dieta abituale, sia
in grado di ridurre i livelli di colesterolo in soggetti affetti da
ipercolesterolemia. Le proteine della soia sono pure in grado di
aumentare i livelli di HDL. I vegetariani consumano più facilmente
maggiori quantità di proteine della soia rispetto alla popolazione generale.
Altri fattori presenti nelle diete vegetariane sono in grado di influire
positivamente sul rischio cardiovascolare, indipendentemente dai loro
effetti sui livelli di colesterolo. I vegetariani presentano più elevate
assunzioni delle vitamine ad effetto antiossidante C ed E, che sono in grado
di ridurre l'ossidazione del colesterolo-LDL. Gli isoflavoni, che sono dei
fitoestrogeni presenti nei cibi a base di soia, possono pure esercitare
effetti antiossidanti, oltre che migliorare la funzionalità dell'
endotelio e la distensibilità della parete arteriosa. Sebbene siano
disponibili informazioni limitate sull'assunzione di specifiche sostanze
fitochimiche all'interno dei vari gruppi di popolazione, i vegetariani
risultano consumare maggiori quantità di sostanze fitochimiche rispetto ai
non-vegetariani, dal momento che la loro principale fonte di energia sono i
cibi vegetali. Alcune sostanze fitochimiche sono in grado di influenzare la
formazione della placca attraverso effetti sulla trasduzione dei segnali e
la proliferazione cellulare, e possono inoltre esercitare attività
antinfiammatoria. Una ricerca condotta a Taiwan ha dimostrato che i
vegetariani evidenziano una risposta vasodilatatrice significativamente
migliore, fenomeno che si correla direttamente con la durata in anni della
dieta vegetariana; questo suggerisce un effetto benefico diretto delle diete
vegetariane sulla funzionalità dell'endotelio vascolare.
Non tutti gli aspetti delle diete vegetariane sono associati con una
riduzione del rischio di cardiopatia. Alcuni studi,
anche se non tutti hanno riscontrato la presenza di più elevati livelli
di omocisteina nei vegetariani rispetto ai non-vegetariani.
L'omocisteina è considerata un fattore di rischio indipendente per la
cardiopatia. Assunzioni inadeguate di vitamina B12 potrebbero spiegare
questo riscontro. La somministrazione parenterale di vitamina B12 è
risultata in grado di abbassare i livelli di omocisteina nei vegetariani,
molti dei quali presentavano ridotti livelli di vitamina B12 ed elevati
livelli ematici di omocisteina . Inoltre, ridotte assunzioni di acidi
grassi omega-3 ed un elevato rapporto omega-6:omega-3 nella dieta possono
aumentare il rischio di cardiopatia in alcuni vegetariani.
Sono disponibili solo un numero limitato di dati sul ruolo delle diete
vegetariane nel trattamento della cardiopatia. Le diete vegetariane
utilizzate in questi studi hanno solitamente un contenuto di grassi molto
ridotto. Dal momento che queste diete sono state applicate nell'ambito di
altre modificazioni dello stile di vita, e che hanno comportato una perdita
di peso corporeo, non è stato ancora possibile accertare eventuali effetti
diretti dell'adozione di una dieta vegetariana sui fattori di rischio o
sulla mortalità per cardiopatia ischemica. Le diete vegetariane possono
essere pianificate in modo da essere adeguate alle raccomandazioni standard
per il trattamento dell'ipercolesterolemia.
Ipertensione
Molti studi dimostrano che i vegetariani presentano ridotti valori di
pressione arteriosa sistolica e diastolica, con differenze tra vegetariani e
non-vegetariani che si collocano tra i 5 ed i 10 mmHg.
Nell'Hypertension Detection and Follow-Up Program (Programma per la Diagnosi
e il Follow-Up dell'Ipertensione), la riduzione di appena 4 mmHg dei valori
pressori è risultata in grado di ridurre in modo significativo la mortalità
per tutte le cause.
Oltre a presentare ridotti valori pressori in generale, i vegetariani
evidenziano un'incidenza di ipertensione marcatamente ridotta rispetto ai
carnivori. In uno studio, il 42% dei soggetti non-vegetariani
risultava iperteso (ipertensione definita come valori 140/90 mmHg) rispetto
al 13% dei vegetariani. Anche i semivegetariani avevano una probabilità
aumentata del 50% di presentare ipertensione rispetto ai vegetariani .
Anche in caso di peso corporeo sovrapponibile tra i soggetti, i vegetariani
presentavano valori di pressione arteriosa ridotti. L'adozione da parte di
soggetti non-vegetariani di una dieta vegetariana è in grado di condurre ad
una riduzione dei livelli di pressione arteriosa sia nei normotesi che
negli ipertesi.
Un certo numero di studi ha indagato tra i vari fattori che possono
contribuire a spiegare i ridotti valori di pressione arteriosa nei
vegetariani e l'effetto ipotensivo del passaggio ad una dieta vegetariana. I
ridotti valori di pressione non sembrano essere riconducibili a ridotto BMI,
pratica di esercizio fisico eliminazione della carne ,
proteine del latte, contenuto di grassi nella dieta, fibre
o differenze negli introiti di potassio, magnesio e calcio. Poiché l'
assunzione di sodio dei vegetariani è sovrapponibile o solo lievemente
inferiore a quella dei non-vegetariani, neppure il sodio può spiegare la
differenza. Alcune spiegazioni suggerite includono una differenza nella
risposta insulinica ai livelli di glucosio ematico, vista la presenza di un
ridotto indice glicemico delle diete vegetariane, o l'effetto
cumulativo di composti benefici di derivazione vegetale.
Diabete
Le diete vegetariane sono in grado di soddisfare le Linee Guida per il
trattamento del diabete mellito, ed alcuni studi suggeriscono che le
diete contenenti elevate quantità di alimenti vegetali siano in grado di
ridurre il rischio di diabete di tipo 2. La frequenza di diabete dichiarato
tra gli Avventisti del Settimo Giorno (SDA) era meno della metà di quella
della popolazione generale e, all'interno degli SDA, i vegetariani avevano
un'incidenza di diabete inferiore rispetto ai non-vegetariani.
Nell'Adventist Health Study, i valori del rischio -aggiustato secondo l'età-
di sviluppare il diabete per vegetariani, semi-vegetariani e non-vegetariani
erano rispettivamente 1.00, 1.35 ed 1.97 per gli uomini e 1.00, 1.08 ed 1.93
per le donne . Tra le possibili spiegazioni di un effetto protettivo
delle diete vegetariane rientrano ridotti valori di BMI nei vegetariani e
più elevati introiti di fibre, entrambi fattori in grado di aumentare la
sensibilità all'insulina. Comunque, tra gli uomini dell'Adventist Health
Study, il rischio di diabete era superiore all'80% negli uomini
non-vegetariani anche dopo aggiustamento per il peso corporeo. Negli uomini,
il consumo di carne era risultato direttamente associato con un aumentato
rischio di diabete. Tra le donne, il rischio era risultato aumentato solo
quando il consumo di carne era superiore a 5 porzioni la settimana.
Cancro
I vegetariani presentano ridotti tassi di incidenza per tutti i tipi di
cancro se confrontati con la popolazione generale, ma non è chiaro in quale
misura questo fenomeno sia da riferire alla dieta. Quando venga controllato
l'effetto dei fattori di rischio non dietetici, le differenze nei tassi di
incidenza per tutti i tumori tra vegetariani e non-vegetariani risultano
molto ridotte, sebbene significative differenze permangano nell'incidenza di
certi tumori. Un'analisi condotta nell'ambito dell'Adventist Health Study,
dopo controllo per età, sesso ed abitudine al fumo, non ha dimostrato
differenze tra vegetariani e non-vegetariani nei tumori di polmone,
mammella, utero e stomaco, mentre ha riscontrato che i non-vegetariani
presentavano un rischio aumentato del 54% per il tumore prostatico e
dell'88% per il tumore del colon-retto . Altri studi hanno evidenziato la
presenza di più bassi ritmi di proliferazione delle cellule del colon nei
vegetariani, quando confrontati con i non-vegetariani, e di più bassi
livelli di insulin-like growth factor-I, fattore implicato nell'eziologia di
diversi tipi di cancro, nei vegani confrontati sia con i non-vegetariani che
con i lacto-ovo-vegetariani. Sia la carne rossa che quella bianca sono
state correlate in maniera indipendente all'aumento di rischio per tumore
del colon . Alcuni studi clinici hanno evidenziato un'associazione tra
elevate assunzioni di latticini e calcio e l'aumento di rischio per tumore
prostatico, anche se non tutti gli studi sono concordi su
questi dati. Uno studio che ha analizzato 8 precedenti studi clinici
non ha evidenziato alcuna relazione tra consumo di carne e latticini e
cancro della mammella.
Alcuni studi suggeriscono che un certo numero di fattori presenti nelle
diete vegetariane siano in grado di influenzare il rischio di cancro. La
composizione delle diete vegetariane si avvicina molto di più alle Linee
Guida redatte dal National Cancer Institute (Istituto Nazionale dei Tumori
Americano) rispetto alle diete non-vegetariane, soprattutto per quanto
riguarda l'assunzione di grassi e fibre. Sebbene siano disponibili
pochi dati sull'assunzione di frutta e verdura da parte dei vegetariani, uno
studio recente evidenzia come gli introiti risultino significativamente più
elevati nei vegani rispetto ai non-vegetariani. Un'elevata esposizione
agli estrogeni nel corso della vita è stata correlata con un aumentato
rischio di tumore della mammella. Alcuni studi evidenziano come i
vegetariani presentino ridotti livelli ematici ed urinari di estrogeni.
Sono disponibili anche alcuni dati che evidenziano come le ragazze
vegetariane presentino il menarca più tardivamente, il che può ridurre il
rischio di cancro a causa di una ridotta esposizione agli estrogeni nel
corso della vita. Elevate assunzioni di fibre sono ritenute in
grado di proteggere nei confronti del tumore del colon, sebbene non tutti
gli studi sostengano questo riscontro. L'ambiente del colon dei
vegetariani è molto differente da quello dei non-vegetariani. I vegetariani,
hanno una ridotta concentrazione di acidi biliari potenzialmente cancerogeni
ed una ridotta quantità di quei batteri intestinali che convertono
gli acidi biliari primitivi nella forma cancerogena. Evacuazioni più
frequenti ed il livello di certi enzimi presenti nel colon aumentano
l'eliminazione di sostanze potenzialmente cancerogene presenti nel colon.
Molti studi dimostrano come i vegetariani presentino ridotti
livelli di mutageni nelle feci.
I vegetariani non consumano ferro eme, che è stato dimostrato in grado di
condurre alla formazione di fattori altamente citotossici nell'intestino,
aumentando il rischio di tumore del colon. Infine, i vegetariani hanno
una maggior probabilità di presentare elevate assunzioni di sostanze
fitochimiche, molte delle quali sono dotate di effetto anticancro. Gli
isoflavoni della soia hanno dimostrato di possedere attività anti-cancro,
soprattutto nei confronti del cancro della mammella e della prostata,
sebbene questo riscontro non venga supportato da tutti gli studi.
Osteoporosi
L'osteoporosi è una malattia complessa, influenzata da una varietà di
fattori, genetici, dietetici e legati allo stile di vita. Sebbene alcuni
studi indichino che l'osteoporosi sarebbe una malattia meno diffusa nei
Paesi emergenti, dove la dieta è prevalentemente basata su cibi vegetali,
questi studi si sono basati sull'incidenza delle fratture di femore,
parametro che si è dimostrato non affidabile per confrontare la salute
dell'osso tra le diverse culture. Non ci sono molti dati che suggeriscano
che la densità minerale dell'osso sia differente nei Paesi Occidentali tra
non-vegetariani e lacto-ovo-vegetariani.
Un certo numero di studi ha dimostrato che elevate assunzioni di proteine,
in particolare se ottenute da cibi animali, siano responsabili di un'
aumentata escrezione di calcio, elevandone il fabbisogno.
Questo effetto è ritenuto riconducibile all'aumentato carico acido derivante
dal metabolismo degli aminoacidi solforati (sulfur-containing amino acids,
SAA). Tuttavia, anche i cereali contengono elevate quantità di questi
aminoacidi, ed alcuni studi hanno dimostrato che le assunzioni di SAA
sarebbero simili tra non-vegetariani e vegetariani. Nonostante questo,
vi sono prove che le donne in post-menopausa che seguano diete ricche di
proteine animali e povere di proteine vegetali, presentino un elevato ritmo
di perdita dell'osso ed un rischio molto aumentato di frattura di femore.
Sebbene eccessivi introiti di proteine possano compromettere la
salute dell'osso, esistono pure evidenze che bassi consumi di proteine
possano aumentare il rischio di una scarsa salute dell'osso. Sebbene
siano disponibili pochissimi dati affidabili sulla salute dell'osso nei
vegani, alcuni studi suggeriscono che la densità ossea sia ridotta nei
vegani, quando confrontati con i non-vegetariani. Le donne
vegane, come le altre donne, possono presentare bassi introiti di calcio
nonostante la disponibilità di fonti di calcio ben assimilabile di
derivazione non casearia. Alcune donne vegane possono pure presentare
introiti di proteine che sono marginali, ed è stato dimostrato che lo stato
della vitamina D può essere compromesso in alcuni vegani. I
più bassi livelli di estrogeni plasmatici dei vegetariani possono infine
essere un fattore di rischio per l'osteoporosi. Per contro, alcuni studi
clinici a breve termine suggerirebbero che le proteine della soia, ricche in
isoflavoni, ridurrebbero la perdita di massa ossea vertebrale nelle donne in
post-menopausa. I più elevati introiti di potassio e vitamina K dei
vegetariani possono pure essere d'aiuto per proteggere la salute dell'osso.
Tuttavia, i dati a disposizione suggeriscono che una dieta vegetariana non
risulti necessariamente protettiva nei confronti dell'osteoporosi,
nonostante il ridotto contenuto di proteine animali.
Malattie Renali
Elevate assunzioni di proteine con la dieta possono peggiorare preesistenti
patologie renali, od aumentarne il rischio nei soggetti predisposti a
sviluppare questa patologia, dal momento che gli introiti di proteine sono
associati con un più elevato tasso di filtrazione glomerulare (Glomerular
Filtration Rate, GFR). Il GFR dei vegetariani sani è ridotto rispetto
a quello dei non-Vegetariani, e risulta ulteriormente ridotto nei vegani.
Il tipo di proteine consumate ha pure la sua importanza, perché gli
alimenti vegetali hanno un effetto meno dannoso sul GFR rispetto alle
proteine animali. In volontari sani, il consumo di un pasto
contenente proteine animali ha comportato un aumento del 16% del GFR, se
confrontato con un pasto contenente proteine della soia. Dal momento
che le conseguenze delle malattie renali sono simili a quelle
dell'arteriosclerosi, i ridotti livelli di colesterolo plasmatico e la
ridotta ossidazione delle lipoproteine contenenti colesterolo derivanti da
una dieta vegetariana possono essere utili per i pazienti affetti da
patologie renali.
Demenza
Sebbene vi siano differenze notevoli nell'incidenza della demenza nel mondo,
i diversi criteri diagnostici rendono difficile un confronto tra le varie
culture. Negli USA, nella popolazione degli SDA, i soggetti che mangiavano
carne presentavano una probabilità più che doppia di sviluppare demenza.
Coloro che avevano mangiato carne per molti anni presentavano una
probabilità più che tripla di sviluppare segni di demenza. È stato osservato
che le diete ricche in antiossidanti sono in grado di proteggere l'integrità
delle funzioni cognitive. Un effetto protettivo può essere
riconducibile anche ai ridotti valori di pressione arteriosa dei
vegetariani. Ci sono pure alcune prove che ridotti livelli di colesterolo
plasmatico risulterebbero protettivi nei confronti della demenza.
Elevati livelli di omocisteina sono correlati con un aumentato rischio di
demenza, e questo può essere l'unico fattore di rischio per i vegetariani
che non assumano adeguate quantità di vitamina B12.
Sebbene uno studio epidemiologico abbia trovato un aumentato tasso di
demenza negli uomini Nippo-Americani che assumevano regolarmente tofu,
questo studio è gravato da un certo numero di limiti metodologici ed
ulteriori studi non hanno confermato questi risultati.
Altri Effetti Salutistici delle Diete Vegetariane
Malattia Diverticolare
Gear e collaboratori hanno trovato che sia i maschi che le femmine
vegetariani, di età compresa tra i 45 ed i 59 anni, presentavano una
probabilità ridotta del 50% di andare incontro a diverticolite rispetto ai
non-vegetariani. Sebbene venga ritenuto che l'assunzione di fibre sia
la ragione più importante per spiegare questa differenza, è possibile che
altri fattori entrino in gioco. Le diete ad elevato contenuto di grassi,
indipendentemente dall'assunzione di fibre, sono state associate con un
aumentato rischio di diverticolite. L'assunzione di carne può pure
aumentare questo rischio. Studi precedenti suggeriscono che il consumo
di carne sarebbe in grado di favorire la crescita di batteri intestinali
capaci di produrre un metabolita tossico che riduce le difese della parete
del colon.
Calcolosi della Colecisti
In uno studio condotto su 800 donne di età compresa tra i 40 ed i 69 anni,
le non-vegetariane presentavano una probabilità più che doppia rispetto alle
vegetariane di andare incontro a calcolosi della colecisti. Questa
relazione si confermava anche dopo aver controllato i tre fattori di rischio
noti per calcolosi della colecisti: obesità, sesso ed età.
Artrite Reumatoide
L'Artrite Reumatoide (Rheumathoid Arthritis, RA), ritenuta una malattia
autoimmune, causa l'infiammazione delle articolazioni. Parecchi studi
condotti da un gruppo di ricercatori finlandesi suggeriscono che il digiuno,
seguito da una dieta vegana, possa essere utile nel trattamento della RA.
Sebbene i dati a disposizione siano ancora molto limitati, e siano necessari
ulteriori periodi di follow-up prima di poter trarre conclusioni affidabili,
alcuni studi suggeriscono che una dieta vegana prevalentemente composta da
cibi crudi sia in grado di ridurre i sintomi della fibromialgia, e che
una dieta vegetariana può ridurre le manifestazioni della dermatite atopica.
Tra gli Avventisti del Settimo Giorno (SDA), il 40% dei quali segue una
dieta senza carne, le abitudini dietetiche vegetariane sono state associate
con valori più bassi di Body Mass Index (BMI, Indice di Massa Corporea).
Nell'Adventist Health Study, (Studio sulla Salute degli Avventisti), che ha
confrontato i soggetti vegetariani con i non-vegetariani all'interno della
popolazione degli Avventisti, il valore del BMI tendeva ad aumentare in
parallelo all'aumento di frequenza dell'assunzione di carne, sia negli
uomini che nelle donne . Nell'Oxford Vegetarian Study, (Studio di Oxford
sui Vegetariani) i valori di BMI sono risultati più elevati nei
non-vegetariani confrontati con i vegetariani in tutti i gruppi di età, sia
negli uomini che nelle donne.
In uno studio su 4.000 uomini e donne condotto in Inghilterra, che ha
confrontato la relazione tra consumo di carne ed obesità in carnivori,
pescivori, lacto-ovo-vegetariani e vegani, i valori medi di BMI sono
risultati più elevati nei carnivori e più bassi nei vegani. Il BMI è
risultato più basso in quei lacto-ovo-vegetariani e vegani che seguivano il
proprio regime dietetico da 5 anni o più. I fattori che possono aiutare a
spiegare il più basso BMI nei vegetariani includono differenze nel contenuto
di macronutrienti (ridotte quantità di proteine, grassi, e grassi animali),
un più elevato consumo di fibre, ridotte assunzioni di alcolici e più
elevati consumi di verdura.
Malattie Cardiovascolari
Uno studio che analizzava 5 studi prospettici comprendenti più di 76.000
soggetti, ha mostrato che la mortalità dovuta a cardiopatia ischemica era
inferiore del 31% tra gli uomini vegetariani confrontati con i
non-vegetariani, e del 20% tra le donne vegetariane confrontate con le
non-vegetariane . La mortalità è risultata inferiore in uomini e donne
vegetariane anche quando confrontati con soggetti semi-vegetariani, soggetti
pescivori e soggetti che assumevano carne con frequenza inferiore ad 1 volta
per settimana. Tra gli SDA, gli uomini vegetariani presentavano una
riduzione del 37% nel rischio di sviluppare cardiopatia ischemica quando
confrontati con gli uomini non-vegetariani . Nell'unico studio sugli SDA
che includesse soggetti vegani, il rischio di sviluppare cardiopatia è
risultato pure più basso tra gli uomini vegani rispetto ai
lacto-ovo-vegetariani.
I ridotti tassi di cardiopatia tra i vegetariani sono spiegabili in parte
grazie ai loro ridotti livelli di colesterolo plasmatico. Una revisione di
nove studi ha trovato che, quando confrontati con i non-vegetariani, i
lacto-ovo-vegetariani ed i vegani presentavano livelli medi di colesterolo
plasmatico più bassi rispettivamente del 14% e del 35%. Sebbene il più
basso BMI medio dei vegetariani possa aiutare a spiegare questo dato, Sacks
e collaboratori hanno riscontrato che, anche in soggetti vegetariani con
peso corporeo superiore a soggetti non-vegetariani, i soggetti vegetariani
presentavano valori di lipoproteine plasmatiche marcatamente più bassi,
e Thorogood e colleghi hanno riscontrato che differenze nei lipidi
plasmatici di vegetariani, vegani e carnivori permangono anche dopo
aggiustamento per il BMI. Alcuni studi, anche se non tutti, hanno
riscontrato livelli ridotti di lipoproteine ad alta densità (HDL) nei
soggetti vegetariani. Ridotti livelli di HDL possono essere
riconducibili al tipo o quantità di grassi dietetici, oppure a ridotte
assunzioni di alcol. Questo riscontro può aiutare a spiegare le minori
differenze nell'incidenza di cardiopatia nelle donne vegetariane rispetto
alle non-vegetariane, dal momento che i livelli di HDL possono costituire
per le donne un fattore di rischio più importante rispetto ai livelli di LDL.
I livelli medi di trigliceridi tendono invece ad essere simili in
vegetariani e non.
Una varietà di fattori presenti nelle diete vegetariane possono influenzare
i livelli di colesterolo. Sebbene alcuni studi dimostrino che molti
vegetariani tipicamente non consumino diete a basso contenuto di grassi, l'
assunzione di grassi saturi è sensibilmente inferiore nei vegetariani
rispetto ai non-vegetariani, ed i vegani sono quelli che presentano il più
basso rapporto grassi saturi:grassi insaturi nella dieta. I vegetariani
consumano pure meno colesterolo dei non-vegetariani, sebbene i valori
massimi e minimi di assunzione varino sensibilmente da uno studio all'altro.
Le diete vegane sono prive di colesterolo.
I vegetariani consumano tra il 50% ed il 100% di fibre in più rispetto ai
non-vegetariani, ed i vegani presentano assunzioni più elevate rispetto ai
lacto-ovo-vegetariani. Le fibre solubili possono ridurre il rischio di
malattie cardiovascolari abbassando i livelli ematici di colesterolo.
Un certo numero di studi suggerisce come le proteine animali siano
direttamente associate con più elevati livelli ematici di colesterolo, anche
quando gli altri fattori dietetici risultino sotto controllo. I
lacto-ovo-vegetariani consumano meno proteine animali dei non-vegetariani,
mentre i vegani non ne consumano affatto. Gli studi scientifici dimostrano
che il consumo di almeno 25 g al giorno di proteine di soia, assunte sia in
sostituzione delle proteine animali che in aggiunta alla dieta abituale, sia
in grado di ridurre i livelli di colesterolo in soggetti affetti da
ipercolesterolemia. Le proteine della soia sono pure in grado di
aumentare i livelli di HDL. I vegetariani consumano più facilmente
maggiori quantità di proteine della soia rispetto alla popolazione generale.
Altri fattori presenti nelle diete vegetariane sono in grado di influire
positivamente sul rischio cardiovascolare, indipendentemente dai loro
effetti sui livelli di colesterolo. I vegetariani presentano più elevate
assunzioni delle vitamine ad effetto antiossidante C ed E, che sono in grado
di ridurre l'ossidazione del colesterolo-LDL. Gli isoflavoni, che sono dei
fitoestrogeni presenti nei cibi a base di soia, possono pure esercitare
effetti antiossidanti, oltre che migliorare la funzionalità dell'
endotelio e la distensibilità della parete arteriosa. Sebbene siano
disponibili informazioni limitate sull'assunzione di specifiche sostanze
fitochimiche all'interno dei vari gruppi di popolazione, i vegetariani
risultano consumare maggiori quantità di sostanze fitochimiche rispetto ai
non-vegetariani, dal momento che la loro principale fonte di energia sono i
cibi vegetali. Alcune sostanze fitochimiche sono in grado di influenzare la
formazione della placca attraverso effetti sulla trasduzione dei segnali e
la proliferazione cellulare, e possono inoltre esercitare attività
antinfiammatoria. Una ricerca condotta a Taiwan ha dimostrato che i
vegetariani evidenziano una risposta vasodilatatrice significativamente
migliore, fenomeno che si correla direttamente con la durata in anni della
dieta vegetariana; questo suggerisce un effetto benefico diretto delle diete
vegetariane sulla funzionalità dell'endotelio vascolare.
Non tutti gli aspetti delle diete vegetariane sono associati con una
riduzione del rischio di cardiopatia. Alcuni studi,
anche se non tutti hanno riscontrato la presenza di più elevati livelli
di omocisteina nei vegetariani rispetto ai non-vegetariani.
L'omocisteina è considerata un fattore di rischio indipendente per la
cardiopatia. Assunzioni inadeguate di vitamina B12 potrebbero spiegare
questo riscontro. La somministrazione parenterale di vitamina B12 è
risultata in grado di abbassare i livelli di omocisteina nei vegetariani,
molti dei quali presentavano ridotti livelli di vitamina B12 ed elevati
livelli ematici di omocisteina . Inoltre, ridotte assunzioni di acidi
grassi omega-3 ed un elevato rapporto omega-6:omega-3 nella dieta possono
aumentare il rischio di cardiopatia in alcuni vegetariani.
Sono disponibili solo un numero limitato di dati sul ruolo delle diete
vegetariane nel trattamento della cardiopatia. Le diete vegetariane
utilizzate in questi studi hanno solitamente un contenuto di grassi molto
ridotto. Dal momento che queste diete sono state applicate nell'ambito di
altre modificazioni dello stile di vita, e che hanno comportato una perdita
di peso corporeo, non è stato ancora possibile accertare eventuali effetti
diretti dell'adozione di una dieta vegetariana sui fattori di rischio o
sulla mortalità per cardiopatia ischemica. Le diete vegetariane possono
essere pianificate in modo da essere adeguate alle raccomandazioni standard
per il trattamento dell'ipercolesterolemia.
Ipertensione
Molti studi dimostrano che i vegetariani presentano ridotti valori di
pressione arteriosa sistolica e diastolica, con differenze tra vegetariani e
non-vegetariani che si collocano tra i 5 ed i 10 mmHg.
Nell'Hypertension Detection and Follow-Up Program (Programma per la Diagnosi
e il Follow-Up dell'Ipertensione), la riduzione di appena 4 mmHg dei valori
pressori è risultata in grado di ridurre in modo significativo la mortalità
per tutte le cause.
Oltre a presentare ridotti valori pressori in generale, i vegetariani
evidenziano un'incidenza di ipertensione marcatamente ridotta rispetto ai
carnivori. In uno studio, il 42% dei soggetti non-vegetariani
risultava iperteso (ipertensione definita come valori 140/90 mmHg) rispetto
al 13% dei vegetariani. Anche i semivegetariani avevano una probabilità
aumentata del 50% di presentare ipertensione rispetto ai vegetariani .
Anche in caso di peso corporeo sovrapponibile tra i soggetti, i vegetariani
presentavano valori di pressione arteriosa ridotti. L'adozione da parte di
soggetti non-vegetariani di una dieta vegetariana è in grado di condurre ad
una riduzione dei livelli di pressione arteriosa sia nei normotesi che
negli ipertesi.
Un certo numero di studi ha indagato tra i vari fattori che possono
contribuire a spiegare i ridotti valori di pressione arteriosa nei
vegetariani e l'effetto ipotensivo del passaggio ad una dieta vegetariana. I
ridotti valori di pressione non sembrano essere riconducibili a ridotto BMI,
pratica di esercizio fisico eliminazione della carne ,
proteine del latte, contenuto di grassi nella dieta, fibre
o differenze negli introiti di potassio, magnesio e calcio. Poiché l'
assunzione di sodio dei vegetariani è sovrapponibile o solo lievemente
inferiore a quella dei non-vegetariani, neppure il sodio può spiegare la
differenza. Alcune spiegazioni suggerite includono una differenza nella
risposta insulinica ai livelli di glucosio ematico, vista la presenza di un
ridotto indice glicemico delle diete vegetariane, o l'effetto
cumulativo di composti benefici di derivazione vegetale.
Diabete
Le diete vegetariane sono in grado di soddisfare le Linee Guida per il
trattamento del diabete mellito, ed alcuni studi suggeriscono che le
diete contenenti elevate quantità di alimenti vegetali siano in grado di
ridurre il rischio di diabete di tipo 2. La frequenza di diabete dichiarato
tra gli Avventisti del Settimo Giorno (SDA) era meno della metà di quella
della popolazione generale e, all'interno degli SDA, i vegetariani avevano
un'incidenza di diabete inferiore rispetto ai non-vegetariani.
Nell'Adventist Health Study, i valori del rischio -aggiustato secondo l'età-
di sviluppare il diabete per vegetariani, semi-vegetariani e non-vegetariani
erano rispettivamente 1.00, 1.35 ed 1.97 per gli uomini e 1.00, 1.08 ed 1.93
per le donne . Tra le possibili spiegazioni di un effetto protettivo
delle diete vegetariane rientrano ridotti valori di BMI nei vegetariani e
più elevati introiti di fibre, entrambi fattori in grado di aumentare la
sensibilità all'insulina. Comunque, tra gli uomini dell'Adventist Health
Study, il rischio di diabete era superiore all'80% negli uomini
non-vegetariani anche dopo aggiustamento per il peso corporeo. Negli uomini,
il consumo di carne era risultato direttamente associato con un aumentato
rischio di diabete. Tra le donne, il rischio era risultato aumentato solo
quando il consumo di carne era superiore a 5 porzioni la settimana.
Cancro
I vegetariani presentano ridotti tassi di incidenza per tutti i tipi di
cancro se confrontati con la popolazione generale, ma non è chiaro in quale
misura questo fenomeno sia da riferire alla dieta. Quando venga controllato
l'effetto dei fattori di rischio non dietetici, le differenze nei tassi di
incidenza per tutti i tumori tra vegetariani e non-vegetariani risultano
molto ridotte, sebbene significative differenze permangano nell'incidenza di
certi tumori. Un'analisi condotta nell'ambito dell'Adventist Health Study,
dopo controllo per età, sesso ed abitudine al fumo, non ha dimostrato
differenze tra vegetariani e non-vegetariani nei tumori di polmone,
mammella, utero e stomaco, mentre ha riscontrato che i non-vegetariani
presentavano un rischio aumentato del 54% per il tumore prostatico e
dell'88% per il tumore del colon-retto . Altri studi hanno evidenziato la
presenza di più bassi ritmi di proliferazione delle cellule del colon nei
vegetariani, quando confrontati con i non-vegetariani, e di più bassi
livelli di insulin-like growth factor-I, fattore implicato nell'eziologia di
diversi tipi di cancro, nei vegani confrontati sia con i non-vegetariani che
con i lacto-ovo-vegetariani. Sia la carne rossa che quella bianca sono
state correlate in maniera indipendente all'aumento di rischio per tumore
del colon . Alcuni studi clinici hanno evidenziato un'associazione tra
elevate assunzioni di latticini e calcio e l'aumento di rischio per tumore
prostatico, anche se non tutti gli studi sono concordi su
questi dati. Uno studio che ha analizzato 8 precedenti studi clinici
non ha evidenziato alcuna relazione tra consumo di carne e latticini e
cancro della mammella.
Alcuni studi suggeriscono che un certo numero di fattori presenti nelle
diete vegetariane siano in grado di influenzare il rischio di cancro. La
composizione delle diete vegetariane si avvicina molto di più alle Linee
Guida redatte dal National Cancer Institute (Istituto Nazionale dei Tumori
Americano) rispetto alle diete non-vegetariane, soprattutto per quanto
riguarda l'assunzione di grassi e fibre. Sebbene siano disponibili
pochi dati sull'assunzione di frutta e verdura da parte dei vegetariani, uno
studio recente evidenzia come gli introiti risultino significativamente più
elevati nei vegani rispetto ai non-vegetariani. Un'elevata esposizione
agli estrogeni nel corso della vita è stata correlata con un aumentato
rischio di tumore della mammella. Alcuni studi evidenziano come i
vegetariani presentino ridotti livelli ematici ed urinari di estrogeni.
Sono disponibili anche alcuni dati che evidenziano come le ragazze
vegetariane presentino il menarca più tardivamente, il che può ridurre il
rischio di cancro a causa di una ridotta esposizione agli estrogeni nel
corso della vita. Elevate assunzioni di fibre sono ritenute in
grado di proteggere nei confronti del tumore del colon, sebbene non tutti
gli studi sostengano questo riscontro. L'ambiente del colon dei
vegetariani è molto differente da quello dei non-vegetariani. I vegetariani,
hanno una ridotta concentrazione di acidi biliari potenzialmente cancerogeni
ed una ridotta quantità di quei batteri intestinali che convertono
gli acidi biliari primitivi nella forma cancerogena. Evacuazioni più
frequenti ed il livello di certi enzimi presenti nel colon aumentano
l'eliminazione di sostanze potenzialmente cancerogene presenti nel colon.
Molti studi dimostrano come i vegetariani presentino ridotti
livelli di mutageni nelle feci.
I vegetariani non consumano ferro eme, che è stato dimostrato in grado di
condurre alla formazione di fattori altamente citotossici nell'intestino,
aumentando il rischio di tumore del colon. Infine, i vegetariani hanno
una maggior probabilità di presentare elevate assunzioni di sostanze
fitochimiche, molte delle quali sono dotate di effetto anticancro. Gli
isoflavoni della soia hanno dimostrato di possedere attività anti-cancro,
soprattutto nei confronti del cancro della mammella e della prostata,
sebbene questo riscontro non venga supportato da tutti gli studi.
Osteoporosi
L'osteoporosi è una malattia complessa, influenzata da una varietà di
fattori, genetici, dietetici e legati allo stile di vita. Sebbene alcuni
studi indichino che l'osteoporosi sarebbe una malattia meno diffusa nei
Paesi emergenti, dove la dieta è prevalentemente basata su cibi vegetali,
questi studi si sono basati sull'incidenza delle fratture di femore,
parametro che si è dimostrato non affidabile per confrontare la salute
dell'osso tra le diverse culture. Non ci sono molti dati che suggeriscano
che la densità minerale dell'osso sia differente nei Paesi Occidentali tra
non-vegetariani e lacto-ovo-vegetariani.
Un certo numero di studi ha dimostrato che elevate assunzioni di proteine,
in particolare se ottenute da cibi animali, siano responsabili di un'
aumentata escrezione di calcio, elevandone il fabbisogno.
Questo effetto è ritenuto riconducibile all'aumentato carico acido derivante
dal metabolismo degli aminoacidi solforati (sulfur-containing amino acids,
SAA). Tuttavia, anche i cereali contengono elevate quantità di questi
aminoacidi, ed alcuni studi hanno dimostrato che le assunzioni di SAA
sarebbero simili tra non-vegetariani e vegetariani. Nonostante questo,
vi sono prove che le donne in post-menopausa che seguano diete ricche di
proteine animali e povere di proteine vegetali, presentino un elevato ritmo
di perdita dell'osso ed un rischio molto aumentato di frattura di femore.
Sebbene eccessivi introiti di proteine possano compromettere la
salute dell'osso, esistono pure evidenze che bassi consumi di proteine
possano aumentare il rischio di una scarsa salute dell'osso. Sebbene
siano disponibili pochissimi dati affidabili sulla salute dell'osso nei
vegani, alcuni studi suggeriscono che la densità ossea sia ridotta nei
vegani, quando confrontati con i non-vegetariani. Le donne
vegane, come le altre donne, possono presentare bassi introiti di calcio
nonostante la disponibilità di fonti di calcio ben assimilabile di
derivazione non casearia. Alcune donne vegane possono pure presentare
introiti di proteine che sono marginali, ed è stato dimostrato che lo stato
della vitamina D può essere compromesso in alcuni vegani. I
più bassi livelli di estrogeni plasmatici dei vegetariani possono infine
essere un fattore di rischio per l'osteoporosi. Per contro, alcuni studi
clinici a breve termine suggerirebbero che le proteine della soia, ricche in
isoflavoni, ridurrebbero la perdita di massa ossea vertebrale nelle donne in
post-menopausa. I più elevati introiti di potassio e vitamina K dei
vegetariani possono pure essere d'aiuto per proteggere la salute dell'osso.
Tuttavia, i dati a disposizione suggeriscono che una dieta vegetariana non
risulti necessariamente protettiva nei confronti dell'osteoporosi,
nonostante il ridotto contenuto di proteine animali.
Malattie Renali
Elevate assunzioni di proteine con la dieta possono peggiorare preesistenti
patologie renali, od aumentarne il rischio nei soggetti predisposti a
sviluppare questa patologia, dal momento che gli introiti di proteine sono
associati con un più elevato tasso di filtrazione glomerulare (Glomerular
Filtration Rate, GFR). Il GFR dei vegetariani sani è ridotto rispetto
a quello dei non-Vegetariani, e risulta ulteriormente ridotto nei vegani.
Il tipo di proteine consumate ha pure la sua importanza, perché gli
alimenti vegetali hanno un effetto meno dannoso sul GFR rispetto alle
proteine animali. In volontari sani, il consumo di un pasto
contenente proteine animali ha comportato un aumento del 16% del GFR, se
confrontato con un pasto contenente proteine della soia. Dal momento
che le conseguenze delle malattie renali sono simili a quelle
dell'arteriosclerosi, i ridotti livelli di colesterolo plasmatico e la
ridotta ossidazione delle lipoproteine contenenti colesterolo derivanti da
una dieta vegetariana possono essere utili per i pazienti affetti da
patologie renali.
Demenza
Sebbene vi siano differenze notevoli nell'incidenza della demenza nel mondo,
i diversi criteri diagnostici rendono difficile un confronto tra le varie
culture. Negli USA, nella popolazione degli SDA, i soggetti che mangiavano
carne presentavano una probabilità più che doppia di sviluppare demenza.
Coloro che avevano mangiato carne per molti anni presentavano una
probabilità più che tripla di sviluppare segni di demenza. È stato osservato
che le diete ricche in antiossidanti sono in grado di proteggere l'integrità
delle funzioni cognitive. Un effetto protettivo può essere
riconducibile anche ai ridotti valori di pressione arteriosa dei
vegetariani. Ci sono pure alcune prove che ridotti livelli di colesterolo
plasmatico risulterebbero protettivi nei confronti della demenza.
Elevati livelli di omocisteina sono correlati con un aumentato rischio di
demenza, e questo può essere l'unico fattore di rischio per i vegetariani
che non assumano adeguate quantità di vitamina B12.
Sebbene uno studio epidemiologico abbia trovato un aumentato tasso di
demenza negli uomini Nippo-Americani che assumevano regolarmente tofu,
questo studio è gravato da un certo numero di limiti metodologici ed
ulteriori studi non hanno confermato questi risultati.
Altri Effetti Salutistici delle Diete Vegetariane
Malattia Diverticolare
Gear e collaboratori hanno trovato che sia i maschi che le femmine
vegetariani, di età compresa tra i 45 ed i 59 anni, presentavano una
probabilità ridotta del 50% di andare incontro a diverticolite rispetto ai
non-vegetariani. Sebbene venga ritenuto che l'assunzione di fibre sia
la ragione più importante per spiegare questa differenza, è possibile che
altri fattori entrino in gioco. Le diete ad elevato contenuto di grassi,
indipendentemente dall'assunzione di fibre, sono state associate con un
aumentato rischio di diverticolite. L'assunzione di carne può pure
aumentare questo rischio. Studi precedenti suggeriscono che il consumo
di carne sarebbe in grado di favorire la crescita di batteri intestinali
capaci di produrre un metabolita tossico che riduce le difese della parete
del colon.
Calcolosi della Colecisti
In uno studio condotto su 800 donne di età compresa tra i 40 ed i 69 anni,
le non-vegetariane presentavano una probabilità più che doppia rispetto alle
vegetariane di andare incontro a calcolosi della colecisti. Questa
relazione si confermava anche dopo aver controllato i tre fattori di rischio
noti per calcolosi della colecisti: obesità, sesso ed età.
Artrite Reumatoide
L'Artrite Reumatoide (Rheumathoid Arthritis, RA), ritenuta una malattia
autoimmune, causa l'infiammazione delle articolazioni. Parecchi studi
condotti da un gruppo di ricercatori finlandesi suggeriscono che il digiuno,
seguito da una dieta vegana, possa essere utile nel trattamento della RA.
Sebbene i dati a disposizione siano ancora molto limitati, e siano necessari
ulteriori periodi di follow-up prima di poter trarre conclusioni affidabili,
alcuni studi suggeriscono che una dieta vegana prevalentemente composta da
cibi crudi sia in grado di ridurre i sintomi della fibromialgia, e che
una dieta vegetariana può ridurre le manifestazioni della dermatite atopica.
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