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Giulia Agrippina Augusta (15-59)

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Messaggio Da Angelodiluce Mer Apr 27, 2011 12:56 pm

nome: Giulia Agrippina Augusta (15-59)
famiglia: figlia di Germanico e di Agrippina maggiore; madre dell’imperatore Nerone

Discendente di Ottaviano Augusto, Giulia Agrippina, detta Minore per distinguerla dalla madre, Agrippina Maggiore, incarnò l’apice del potere e dell’influenza mai raggiunto da una donna in epoca imperiale, pagando, tuttavia, a caro prezzo e di persona, la posizione conseguita.
Sofferenza e amarezze segnarono, sin dalla giovane età, la sua vita, a cominciare dalla scoperta che Augusto aveva designato quale erede non il padre Germanico, eroe delle guerre in Germania, ma Tiberio, marito di Giulia Maggiore, la figlia ribelle del primo imperatore di Roma. Acredine e risentimento profondi caratterizzarono l’atteggiamento interiore di Agrippina verso Tiberio, dal quale pure fu costretta a sposare, nell’anno 29, Gneo Domizio Enobarbo, che le diede un figlio, Lucio Domizio, il futuro imperatore Nerone.
Le speranze di un miglioramento, suscitate dall’ascesa al trono del fratello Caligola, si rivelarono ben presto deludenti, tanto che Agrippina, accusata insieme alla sorella Livilla di aver partecipato, nell’anno 38, ad una congiura volta ad eliminare il bizzarro e crudele sovrano, fu costretta all’esilio, sia pure temporaneo. Sotto il regno di Claudio, poi, Agrippina riuscì a scampare alle trame di Messalina, che colpirono, invece, Livilla, nuovamente relegata lontano da Roma e, quindi, uccisa; rimasta sola, Agrippina ebbe l’occasione di riscattare se stessa e la sorella soltanto nell’anno 49, quando, dopo l’assassinio di Messalina da parte del liberto Narciso, andò sposa all’imperatore medesimo.
Una volta divenuta moglie del princeps, Agrippina dispiegò la propria influenza allo scopo di favorire il figlio Lucio, nato dal precedente matrimonio, nella corsa alla successione: nell’anno 54 Lucio Domizio divenne imperatore con il nome di Nerone Claudio Cesare Augusto Germanico.
Allo sguardo dell’osservatore moderno, non può destare meraviglia il fatto che il giovane Nerone, cresciuto in un ambiente all’insegna di tanti scandali, omicidi e morti sospette, sia poi passato alla storia come uno dei più despoti più squilibrati e sanguinari e, insieme, come un uomo debole ed esposto a mille condizionamenti e pressioni.
Ben presto, infatti, anche il rapporto con la madre Agrippina si incrinò.
Sulla vicenda riferisce ampiamente Tacito (Annales), che riferisce delle ombre, addirittura di incesto, gravanti sul legame tra Agrippina e Nerone: è certo che la madre si prodigasse in modo quasi ossessivo per il figlio il quale, dal canto suo, iniziò ad essere esasperato dalle attenzioni della genitrice.
Il giro di boa fu rappresentato, nell’anno 62, dalle nozze di Nerone con Poppea, la bella e spregiudicata figlia di Tito Ollio. La fonte tacitiana vede nella nefasta influenza di Poppea sul marito la causa della morte di Agrippina: la nuora avrebbe indotto Nerone a vedere nella madre, così assidua e presente, nonché donna di grande prestigio nella Roma del tempo, il principale ostacolo al conseguimento del potere assoluto. Come in altri casi nei quali erano coinvolte figure femminili in vista, la storiografia ufficiale ricostruì la vicenda in modo da gettare la responsabilità più pesante su Poppea e, anche per questo motivo, non è noto con certezza se i fatti si siano svolti esattamente in tal modo.
In ogni caso, per Agrippina, con un figlio ormai determinato ad eliminarla, i giorni erano contati: nell’anno 59, dopo un tentativo fallito sull’isola di Baia, fu raggiunta dai sicari di Nerone e uccisa in una villa nei dintorni di Bacoli (nell’odierna provincia di Napoli).
Persino la madre del princeps non scampò alla furia di sentimenti malati, tramutatisi in follia delirante e cieca violenza. Come altre donne colpevoli di amare troppo e di amare male, anche Agrippina si vide ritorcere contro, tramutata in furia omicida, la smisurata passione che aveva riservato al suo unico, grande amore: il figlio. Il suo dramma è stato magistralmente descritto nel XVII° secolo, da Jean Racine, nella tragedia Britannico.
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