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Filosofia Iniziatica nel passato

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Filosofia Iniziatica nel passato Empty Filosofia Iniziatica nel passato

Messaggio Da Angelodiluce Sab Mag 01, 2010 3:59 am

La ricerca filosofica non contemplava nel passato la scissione propria della cultura occidentale a cui abbiamo prima accennato. Infatti, affermava Giamblico, in "La vita pitagorica"(cap, XII, 58-59) "Si dice che Pitagora sia stato il primo a chiamare se stesso filosofo, non limitandosi a introdurre questo nuovo nome, ma spiegandone l'effettivo significato...La Sapienza è un reale sapere intorno al Bello, al Primo e al Divino sempre identici a se stessi, di cui le altre cose partecipano. La filosofia è invece desiderio di siffatta contemplazione speculativa. Bello è pertanto anche questo sforzo interiore di formazione spirituale, che per Pitagora contribuisce alla purificazione degli uomini".
Non a caso, Pitagora, come altri greci, era stato in India e aveva appreso importanti conoscenze.
Scrive Schopenhauer (cfr.www.estovest.org/tradizione/shopenhauer) «Secondo Apuleio, Pitagora sarebbe addirittura giunto sino in India, e sarebbe stato istruito dagli stessi brahmani. Di conseguenza, io credo che la filosofia e la conoscenza di Pitagora, certo altamente apprezzabili, non sono consistite tanto in ciò che egli ha pensato, quanto in ciò che egli ha imparato.» (Frammenti sulla storia della filosofia, 2, in Parerga e paralipomena). Schopenhauer scriverà ancora, a proposito dei viaggi in India dei filosofi suoi contemporanei «Voi andaste colà come maestri e ne ritornaste come discepoli dell'ascoso senso. Là caddero per voi i veli» (Sull'etica, in Parerga e paralipomena, VIII, 115)
La ricerca filosofica non era sapere accademico, ma ricerca iniziatica destinata però non a tutti. Questa limitata destinazione non si riconduceva ad un carattere orgoglioso o aristocratico del sapere iniziatico ma alla diversa ricettività delle persone, determinata dal diverso grado evolutivo, posto che diverse sono le esperienze individuali liberamente vissute nel ciclo delle reincarnazioni. In ragione di ciò, S. Paolo nel rivolgersi ai suoi discepoli, al fine di spiegare che alcune cose non potevano esser rivelate, utilizzò la famosa metafora sui cibi liquidi destinati ai bambini e sui cibi solidi destinati agli adulti.
"Ho ancora molte cose da dirvi, ma non le potete sopportare per ora"(angelo di Giovanni VI,12).
"Quando poi fu solo, i suoi insieme ai Dodici lo interrogavano sulle parabole. Ed egli disse loro: "A voi è stato confidato il mistero del regno di Dio; a quelli di fuori invece tutto viene esposto in parabole" (Vangelo di Marco 4-10).
"Con molte parabole di questo genere annunziava loro la parola secondo quello che potevano intendere. Senza parabole non parlava loro; ma in privato, ai suoi discepoli, spiegava ogni cosa". (Vangelo di Marco 4-34).
"Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci, perché non le calpestino colle loro zampe e poi si rivoltino per sbranarvi" (Matteo, 7, 6).
"Su questo argomento abbiamo molte cose da dire, difficili da spiegare perché siete diventati lenti a capire. Infatti, voi che dovreste essere ormai maestri per ragioni di tempo, avete di nuovo bisogno che qualcuno v'insegni i primi elementi degli oracoli di Dio e siete diventati bisognosi di latte e non di cibo solido. Ora, chi si nutre ancora di latte è ignaro della dottrina della giustizia, perché è ancora un bambino. Il nutrimento solido invece è per gli uomini fatti, quelli che hanno le facoltà esercitate a distinguere il buono dal cattivo ( S.Paolo, Lettere agli Ebrei).
"Tra i perfetti parliamo, sì, di sapienza, ma di una sapienza che non è di questo mondo, né dei dominatori di questo mondo che vengono ridotti al nulla; parliamo di una sapienza divina, misteriosa, che è rimasta nascosta, e che Dio ha preordinato prima dei secoli per la nostra gloria. Nessuno dei dominatori di questo mondo ha potuto conoscerla; se l'avessero conosciuta, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria (S. Paolo, Lettere ai Corinzi 2-6).
Platone parlava di filosofia trasmessa dagli dèi, di tradizione antica, di dottrina antica "bisogna sempre credere a queste sante e antiche dottrine". Questa dottrina è distinta dalla filosofia destinata a "i non iniziati" (Teeteto 155 e) ai "i figli della Terra" (Sofista, 247) i quali sostengono ostinatamente che tutto ciò che che non sono in grado di stringere fra le mani in fin dei conti non esiste assolutamente". Invece, la filosofia trasmessa dagli dèi si rivolge agli iniziati, agli Amici delle Idee, a poche persone (Politica,297; Repubblica IV 428). "Un Dio in persona facendoci questo dono ha fatto anche la nostra salvezza" (Epinomis 977).
Afferna Eraclito "Ad essi è rivolto l'insegnamento dell'Efesio, non agli altri uomini, che non sono animati dal desiderio di conoscere la verità, di cui non comprendono il valore ed il significato, indifferenti ed inconsci, quasi dormienti. Agli altri uomini sfuggono le cose che fanno quando sono desti, come non sanno quanto compiono dormienti".
Nella Teologia Mistica, Dionigi Areopagita scrive " Bada a che nessuno dei non iniziati ascolti: mi riferisco a coloro che rimangono prigionieri delle realtà, che pensano che nulla esista in modo sovraessenziale al disopra degli esseri, che ritengono di conoscere con la loro scienza colui che "ha fatto della tenebra il suo nascondiglio" [Salmi 17,12]. Se le divine iniziazioni vanno al di là delle capacità di costoro, che cosa si dovrebbe dire a proposito di coloro che sono ancor meno iniziati, che definiscono la causa trascendente di tutto anche per mezzo degli esseri più bassi, e che dicono che essa non è affatto superiore alle empie e svariate raffigurazioni forgiate da loro?
"Una certa filosofia religiosa nacque mirabilmente concorde fra i Persiani e con Ermete fra gli Egizi; si alimentò poi con Orfeo e Aglaofemo presso i Traci per crescere subito con Pitagora fra i Greci e gli Italici e giungere, infine, a compimento in Atene con Platone. Era costume degli antichi teologi nascondere i divini misteri sotto formule matematiche e metafore poetiche, perché non venissero diffusi al volgo " (Ficino nell'Introduzione alle Enneadi di Plotino).
C'è quindi una dottrina antica, un sapere antico che non ha mai abbondanato l'uomo sin dalle origini che ha permeato con manifestazioni diverse tutti i popoli e tutte le religioni. A questo sapere originario attinge la filosofia iniziatica, ed anche l'Insegnamento dei Vangeli, ed a questo stesso sapere si riconduce l'Insegnamento di Peter Deunov e O.M.Aivanhov.
Anche S.Agostino riconosce l'esistenza di questo antico sapere. Egli afferma nelle Ritrattazioni (cap.13.3): Ho anche detto: Questa è, ai nostri tempi, la religione cristiana conoscendo e seguendo la quale si ottiene la salvezza col massimo di sicurezza e di certezza. Mi sono espresso così, facendo riferimento al nome e non alla realtà ch'esso designa. In effetti quella che ora prende il nome di religione cristiana, esisteva già in antico e non fu assente neppure all'origine del genere umano, finché venne Cristo nella carne. Fu allora che la vera religione, che già esisteva, incominciò ad essere chiamata cristiana. Quando, dopo la risurrezione e l'ascensione in cielo, gli Apostoli incominciarono a predicare il Cristo e moltissimi divennero credenti, fu ad Antiochia che per la prima volta, come è scritto, i suoi discepoli furono chiamati "Cristiani". Per questo ho detto: Questa è ai nostri tempi la religione cristiana, non perché un tempo non esistesse, ma perché più tardi prese questo nome.
Il custode di questa sapere divino, di questa àncora di salvezza per l'uomo, è l'Ordine di Melkisedec manifestazione dello Spirito del Cristo, il cui ruolo è evidenziato nei Vangeli, nella Genesi e nelle lettere di S.Paolo, e nell'Apocalisse, nonché, sotto diverso nome, in altre grandi religioni. Egli è il garante della continuità di questo Sapere, di questa filosofia divina in tutti i tempi e può svolgere questo ruolo in quanto,come sottolinea S.Paolo, Egli " è senza padre, senza madre, senza genealogia, senza principio di giorni né fine di vita, fatto simile al Figlio di Dio e rimane sacerdote in eterno". Per tali ragioni il Maestro di tutti i Maestri. Al suo Ordine infatti apparteneva lo stesso Gesù.
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