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Un Pio XII in più o tre papi in meno?

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Un Pio XII in più o tre papi in meno? Empty Un Pio XII in più o tre papi in meno?

Messaggio Da Angelodiluce Dom Mag 02, 2010 3:17 am

La visita di Benedetto XVI alla sinagoga di Roma, il 17 gennaio scorso, e la sua solenne promessa “mai più antisemitismo”, non hanno posto fine a malumori o diffidenze della comunità ebraica, e a persistenti dubbi sull’opportunità di elevare Pio XII all’onore degli altari. Ma, a conti fatti, badando cioè ai comportamenti dei papi verso gli ebrei, l’autocritica della Chiesa non dovrebbe essere ben più sostanziale, e includere la rimozione da quegli stessi altari almeno di Leone I, Pio V e Pio IX?
Maledetti da entrambi i Testamenti
Risale al V secolo la prima manifestazione di antisemitismo da parte non di un cristiano più o meno autorevole ma del vicario di Cristo in terra. Essa si deve a Leone I Magno, il papa che secondo la leggenda avrebbe salvato Roma da Attila, che nei suoi Sermoni, ricorda così la crocifissione di Gesù: «Quella mattina il sole, per voi ebrei, non è sorto ma tramontato. Ai vostri occhi non si mostrò la luce normale, ma un abbaglio terribile fece calare le tenebre nel vostro cuore empio. Quella mattina distrusse il vostro tempio e i vostri altari, vi privò della legge e dei profeti, abolì la vostra stirpe reale e sacerdotale e trasformò le vostre feste in un eterno lutto; perché il vostro piano era fatale e crudele: sacrificare alla morte ‘il creatore della vita’ e ‘il Re dei re’»…
Oremus et pro perfidis judeis
Per Pio V la de-santificazione l’abbiamo suggerita altra volta, anche recentemente (v. Scherza coi santi), in ragione della sua attività complessiva di grande inquisitore e poi di papa, sterminatore di eretici, omosessuali, giornalisti, turchi. Ma anche la sua condotta verso gli ebrei merita speciale attenzione poiché se Pio XII tacque di fronte ai crimini altrui, Pio V ne commise direttamente, in proprio.
Nel 1569, tre anni dopo essere stato eletto papa, emanò la bolla Hebraeorum, con la quale ordinò l'espulsione degli ebrei da tutte le terre dello Stato Pontificio, eccettuate Ancona e Roma, nonché la distruzione di tutto ciò che ricordasse l'esistenza di una loro comunità, compresi i cimiteri. Gli ebrei di Bologna si trasferirono in territorio estense, portando con sé i loro morti. Le comunità ebraiche di Ravenna, Fano, Camerino, Orvieto, Spoleto, Viterbo, Terracina, sparirono per sempre. Gli ebrei che vivevano intorno a Roma dovettero riparare nel ghetto della città, già sovraffollato.
Nella stessa bolla, Pio V accusava il popolo ebreo di “deicidio” e, in più, di stregoneria: «Il popolo ebreo - si legge - il solo un tempo eletto da Dio, poi abbandonato per la sua incredulità, meritò di essere riprovato, perché ha con empietà respinto il suo Redentore e lo ha ucciso con morte vergognosa. La loro empietà è giunta ad un tal livello che, per la nostra salvezza, occorre respingere la forza di tanta malizia, la quale con sortilegi, incantesimi, magia e malefici induce agli inganni di Satana moltissime persone incaute e semplici» (in C. Nitoglia, Le leggi razziali).
Nel 1570, poi, Pio V introdusse nel Messale romano da lui varato una vecchia preghiera medievale modificata solo nel 1959 da Giovanni XXIII, e oggi parzialmente ripristinata da Benedetto XVI fra le proteste delle comunità ebraiche: la Oremus et pro perfidis judeis, che li accusa di cecità e prega per la loro conversione alla “vera” religione.
Un “beato” rapitore di bambini ebrei
L’ostilità verso gli ebrei caratterizzò anche Pio IX, proclamato beato nel 2000 da Giovanni Paolo II, fin dal rapimento di un bambino ebreo che viveva a Bologna, nello Stato pontificio.
Nel 1852, quando aveva un anno, essendo ammalato in modo grave, Edgardo Mortara fu battezzato di nascosto dalla domestica cattolica. Tanto bastò: cinque anni dopo la cosa si riseppe e i poliziotti pontifici irruppero in casa dei Mortara su ordine delle autorità ecclesiastiche, rapirono il bambino e lo portarono a Roma, dove fu rinchiuso in un istituto religioso fino ad età adulta, quando (questa volta di sua volontà) si fece prete. Inutili le proteste dei genitori e perfino di molti sovrani europei: per Pio IX era “scattato” il caso previsto da Benedetto XIV del battesimo legittimo anche se illecito. Nel 1858, nel Colloquio con una delegazione di ebrei romani recatasi da lui per protestare, Pio IX ebbe l’impudenza di dichiarare: «Potevo forse respingere il bambino che voleva farsi Cristiano [parliamo di un bambino di sei anni!, NdR]? Del resto, se i Mortara non avessero avuto una domestica cattolica [cosa vietata dalle leggi papali, NdR], tutto questo non sarebbe successo».
Né fu il solo caso. Nel 1864 si fece entrare con l’inganno l’undicenne Giuseppe Coen nell’ospizio dei catecumeni di Roma, dove restò fin quando uscì per farsi carmelitano nonostante le clamorose proteste e la disperazione della famiglia: una sorella ne morì, la madre impazzì.
Che ai rapimenti si accompagnasse un convinto antisemitismo è testimoniato dalle dichiarazioni di Pio IX. Fra i Discorsi ai fedeli di Roma del 1867-78, ad esempio, si trova questa invettiva: «verrà giorno, terribile giorno della divina vendetta, che [i giudei] dovranno pur render conto delle iniquità che hanno commesse»; oppure si interpreta l’episodio di Gesù che si fa aiutare a portare la croce da un Cireneo (pagano) anziché dai giudei come prova di «quanto era già stato predetto, cioè che alla depravata nazione ebrea altre nazioni sarebbonsi sostituite per conoscere e seguire Gesù».
Venti secoli di antisemitismo…
Naturalmente ci siamo limitati a questi tre papi perché si sta parlando di papi santi. Se si volesse allargare il discorso ad altri santi, non papi, c’è solo l’imbarazzo della scelta. Si va da Agostino o Giovanni Crisostomo, che ritengono gli ebrei figli del diavolo e la diaspora un castigo per il deicidio, al celebre Ambrogio, vescovo di Milano, celebrato per il suo impegno sociale, che ascriveva a suo merito incendiare sinagoghe; da Tommaso d’Aquino, per cui gli ebrei sono stati giustamente condannati a “eterna schiavitù” e possono essere privati di ogni proprietà per i loro delitti fino a Bernardino da Siena, che ritiene i banchieri e i medici ebrei rispettivamente colpevoli di strangolare economicamente e di avvelenare i cristiani o a Carlo Borromeo, sodale di Pio V, che vietò ogni rapporto fra ebrei e cristiani per tutelare la fede e la morale.
Anche estendendo lo sguardo ai papi non santi, gli antisemiti abbondano: Innocenzo III e il Concilio Laterano IV imposero agli ebrei di portare un segno di riconoscimento; Clemente IV ribadì questa e altre vessazioni, definendoli popolo “deicida” (di “nazione deicida” parlava del resto Gregorio XVI ancora nell’Ottocento e dopo di lui Pio IX, come si è detto); Giovanni XXII fece dare alle fiamme il libro sacro Talmud, perché pieno di “esecrabili bestemmie”; Gregorio XIII assimilò la fede ebraica agli insulti al cristianesimo e alle stregonerie, deferendo la materia all’Inquisizione; Benedetto XIV accreditò l’omicidio rituale di bambini cristiani da parte di ebrei; Pio VI emanò l’Editto sugli ebrei, condensato di tutte le vessazioni, compreso l’obbligo di non uscire la notte dal ghetto. Per non dire dei papi che dal XV al XVII secolo si divertivano a vedere le corse dei giudei dove, scrive un cronista cattolico, «correvano otto ebrei nudi… favoriti dalla pioggia, dal vento e dal freddo come gli infedeli meritavano, e dopo quelle bestie con due gambe, correvano altre con quattro».
… e non solo dei “figli” e delle “figlie”
Ma a interessarci sono soprattutto le affermazioni antisemite, sulla “nazione deicida”, di Pio V e Pio IX, di Leone I e di altri papi o Concili, perché smentiscono l’idea accreditata ancora da Giovanni Paolo II nella sua richiesta di perdono del 2000 che l’antigiudaismo cristiano sia addebitabile solo a “figli” e “figlie” della Chiesa, come ha ripetuto anche Benedetto XVI nella sua visita alla sinagoga romana: «La Chiesa non ha mancato di deplorare le mancanze di suoi figli e sue figlie, chiedendo perdono». È la tesi di Giovanni Paolo II nel documento Noi ricordiamo del 1998 (corsivi nostri): «Nel mondo cristiano - non dico da parte della Chiesa in quanto tale - interpretazioni erronee e ingiuste del Nuovo Testamento riguardanti il popolo ebreo e la sua presunta colpevolezza sono circolate per troppo tempo, generando sentimenti di ostilità nei confronti di questo popolo».
Viceversa “interpretazioni erronee e ingiuste”, rispetto a quella sostenuta oggi, furono date proprio “da parte della Chiesa in quanto tale” e fu essa quindi a generare ostilità verso gli ebrei. Non solo Tommaso d’Aquino, Agostino e molti altri padri e dottori della Chiesa, ma papi e concili fecero dell’antisemitismo una dottrina insegnata ai fedeli. È di questo errore dottrinale, commesso per secoli e secoli dalla Chiesa in barba all’infallibilità, che Benedetto XVI dovrebbe oggi chiedere scusa, de-santificando i papi antisemiti – anziché limitarsi a versare lacrime per delle colpe che scarica al tempo stesso, ipocritamente, sulle spalle dei “figli” e delle “figlie”.
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